Mercoledì 9 Luglio 2025
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Nel corso dell’autunno 2025, la Danimarca lancerà un nuovo bando per l’assegnazione di 3 gigawatt (GW) di capacità eolica offshore, sufficienti potenzialmente ad alimentare circa 3 milioni di abitazioni. I progetti saranno suddivisi su tre aree: Nordsøen Midt e Nordsøen Syd nel Mare del Nord, e l’area di Hesselø, situata tra la Danimarca e la Svezia. Questa iniziativa rappresenta un’importante inversione di rotta rispetto alla precedente gara da 6 GW, aperta nel 2023, che si era conclusa senza offerte per tre dei sei progetti previsti. L’assenza di partecipazione è stata attribuita a una combinazione di costi in aumento, difficoltà nelle catene di approvvigionamento e incertezza dei prezzi sul mercato energetico.
In risposta a queste criticità, il governo danese ha deciso di modificare in modo sostanziale il modello di gara, introducendo un meccanismo di supporto economico attraverso contratti per differenza (Contracts for Difference, CfD) a doppia faccia. Questo strumento garantisce ai produttori di energia un prezzo minimo per ogni kWh prodotto e immesso sul mercato, compensando eventuali perdite se il prezzo di mercato scende al di sotto della soglia concordata. In caso contrario, cioè quando il prezzo di mercato supera quello minimo fissato nel contratto, sarà l’operatore a versare la differenza allo Stato. Il valore di riferimento sarà definito nel bando, e il vincitore sarà selezionato in base al prezzo minimo più basso offerto.
Struttura degli incentivi e requisiti del bando
Il governo ha fissato un tetto massimo per i sussidi statali pari a 55,2 miliardi di corone danesi, equivalenti a circa 7,4 miliardi di euro, distribuiti lungo un arco temporale di vent’anni. Per favorire una maggiore partecipazione e mitigare i rischi economici, lo Stato danese coprirà anche alcuni costi fondamentali precedentemente a carico degli operatori, come le indagini preliminari dei siti e le misure di sorveglianza marittima richieste durante la fase di costruzione. Inoltre, non sarà più richiesta la partecipazione azionaria statale nei progetti, a differenza del precedente bando che prevedeva una quota obbligatoria del 20%.
Le offerte per i progetti Hesselø e Nordsøen Midt sono attese entro la primavera 2026, mentre per Nordsøen Syd il termine è fissato per l’autunno 2027. Ogni area prevede una capacità minima di 1 GW, con possibilità di installare capacità aggiuntiva senza accesso garantito alla rete pubblica, destinabile per esempio all’idrogeno verde. L’assegnazione dipenderà dalla capacità proposta, che deve rispettare una densità minima stabilita dall’Agenzia danese per l’Energia. Il processo di consultazione di mercato, iniziato a fine maggio 2025, si svolge in due fasi: una tecnica sul modello CfD e una seconda, più ampia, tra giugno e agosto, con scadenza per i contributi scritti il 6 agosto 2025.
Il nuovo schema di gara prevede inoltre specifici requisiti in materia di sostenibilità ambientale e responsabilità sociale. Tra le condizioni previste figurano l’obbligo di utilizzo di pale eoliche riciclabili, dichiarazioni ambientali verificate da terze parti, valutazioni sul ciclo di vita delle infrastrutture e monitoraggi ambientali continuativi. A livello sociale, vengono richiesti programmi di formazione con apprendistato, tutele contro il dumping sociale e la responsabilità lungo tutta la catena di fornitura.
In conclusione, il nuovo schema danese offre un’opportunità interessante, grazie a garanzie statali, requisiti chiari e apertura internazionale. Le condizioni sono favorevoli per chi opera nei settori dell’ingegneria, delle energie rinnovabili, della logistica marittima e delle tecnologie per la transizione energetica, soprattutto con esperienza in progetti complessi e di innovazione energetica. Questo bando può rappresentare una concreta occasione di crescita in Europa.
Secondo una recente proiezione elaborata da Rune Lindahl‑Jacobsen, professore di demografia all’Università della Danimarca Meridionale (SDU), e pubblicata su Politiken, entro il 2096 più della metà della popolazione potrebbe non appartenere all’“origine etnica danese”, con la conseguenza che gli “etnicamente danesi” rischiano di diventare minoranza. La definizione adottata include solo chi è nato in Danimarca da due genitori anch’essi nati nel Paese.
Questo cambiamento demografico è il risultato del calo della natalità tra i danesi autoctoni, unito al flusso migratorio sostenuto, degli ultimi decenni.
Questa ricerca avviene proprio nel momento in cui la Danimarca raggiunge un nuovo traguardo. Secondo Danmarks Statistik, la popolazione ha raggiunto per la prima volta i 6 milioni di cittadini, e rimane in costante crescita, alimentata proprio dalle migrazioni, che rappresentano un sesto della popolazione.
Reazioni politiche: tra allarmi e critiche
Le forze politiche hanno reagito in modo diverso. I partiti conservatori e nazionalisti, in particolare Dansk Folkeparti, evocano il concetto del “Great Replacement” (un’idea contestata, presente nel dibattito pubblico danese) e chiedono criteri più restrittivi per la cittadinanza, come la richiesta che anche i genitori o i nonni siano nati in Danimarca, insieme a una netta riduzione dell’immigrazione non occidentale.
La linea centrista, ossia i Socialdemokraterne, sotto la guida della Prima Ministra, Mette Frederiksen, ha adottato una “strategia delle due verità”: accogliere rifugiati “veri” ma ridurre numeri e tipologie di immigrazione percepita come poco sostenibile per il welfare. Tali misure includono la confisca dei beni ai nuovi arrivati, restrizioni sul lavoro per studenti stranieri e incentivi per il ritorno volontario.
Oltre la semplice identità: integrazione economica e sociale
Oltre al fattore etnico, emergono rilevanti questioni economiche. Il contributo degli immigrati al mercato del lavoro è significativo: nel 2021, rappresentavano oltre il 12% dell’occupazione, contribuendo a compensare il calo della forza lavoro autoctona. Se gestiti con politiche chiare, questi flussi possono rappresentare una leva per la crescita e il welfare.
Tuttavia, permangono preoccupazioni sull’integrazione. Secondo il governo danese, il problema principale non è tanto la presenza crescente di persone con background migratorio, quanto la loro effettiva adesione ai valori fondamentali della società danese. Il Ministro per l’Immigrazione, Kaare Dybvad Bek, ha sottolineato che “non importa da dove vieni, ma se condividi o meno i valori democratici su cui si basa la Danimarca”.
Le criticità evidenziate includono la scarsa partecipazione civica, la formazione di comunità isolate in quartieri a prevalenza migrante e il mantenimento di norme culturali che entrano in conflitto con principi come l’uguaglianza di genere, la libertà di parola e la tolleranza religiosa. Su queste basi, negli ultimi anni sono state introdotte misure restrittive come il divieto del velo integrale, programmi di reinsediamento per smantellare i cosiddetti “ghetti” urbani e incentivi economici al rimpatrio volontario.
La linea politica perseguita è quella di un equilibrio tra apertura e rigore: favorire chi si integra e partecipa attivamente alla vita collettiva, ma intervenire con fermezza contro forme di isolamento culturale o rifiuto delle regole democratiche.
In questo contesto, per le imprese, si apre uno scenario ricco di possibilità. I settori della formazione, dei servizi interculturali, della consulenza strategica e dello sviluppo del capitale umano sono tra i più esposti a beneficiare dei programmi pubblici per l’integrazione avanzata. Al tempo stesso, il dibattito demografico sottolinea inoltre l’importanza di rafforzare la collaborazione tra imprese e istituzioni, chiamate a co-progettare modelli inclusivi capaci di generare benefici duraturi sia a livello sociale che economico.
(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio italiana in Danimarca)
Con un investimento di oltre 7,7 miliardi di corone danesi, la Danimarca si appresta a realizzare la sua più importante riforma sanitaria degli ultimi vent’anni, puntando a riequilibrare la distribuzione dei medici specialisti su tutto il territorio nazionale.
Secondo la Ministra della Salute Sophie Løhde, il nuovo accordo di primavera (forårsaftale) rappresenta un passo decisivo per attuare la riforma approvata nel novembre 2024.
“Abbiamo bisogno di più medici dove ci sono più pazienti. Per questo stiamo espandendo la medicina generale in modo storico”, ha dichiarato.
POCHI MEDICI, MALE DISTRIBUITI
Come in molte economie avanzate, anche in Danimarca si registra una carenza cronica di medici specialisti, con forti squilibri tra città (Copenaghen, Aarhus, Odense) e aree periferiche. Secondo l’Associazione Medica Danese, mancano circa 2.000 specialisti.
Dal 2026 verranno formati 1.270 specialisti all’anno (130 in più rispetto a oggi): un record nazionale. Particolare attenzione sarà rivolta a medicina generale, psichiatria e geriatria.
TECNOLOGIA, REGIONI E INFRASTRUTTURE
Un aspetto chiave della riforma è il trasferimento di competenze sanitarie dai comuni alle regioni, che riceveranno 4,2 miliardi di DKK per gestire i nuovi compiti.
A questi si aggiungono 3,5 miliardi di DKK destinati a infrastrutture, digitalizzazione e tecnologia medica, con l’obiettivo di migliorare l’accesso alle cure anche nelle aree meno servite del Paese.
Tra le novità più rilevanti dell’accordo vi è la possibilità, da parte delle autorità regionali, di intervenire più direttamente nella distribuzione geografica dei medici. In concreto, le regioni potranno limitare l’apertura di nuovi ambulatori in aree già sature, come le grandi città, e incentivare (o addirittura vincolare) l’assegnazione di nuovi medici alle zone periferiche o carenti. L’obiettivo è evitare che i professionisti si concentrino esclusivamente nei centri urbani, lasciando scoperti ampi territori rurali o di difficile accesso.
Questa misura ha sollevato perplessità da parte dell’Associazione Medica Danese, che ha espresso preoccupazione per le implicazioni che un sistema di assegnazione vincolata potrebbe avere sulla libertà professionale. Secondo l’organizzazione, limitare la mobilità e la possibilità per i medici di scegliere liberamente dove lavorare non è una soluzione strutturale al problema della carenza, e rischia anzi di rendere la professione meno attrattiva.
“Non si risolve la mancanza di medici impedendo loro di decidere dove stabilirsi” ha dichiarato un portavoce, sottolineando che servono incentivi concreti, migliori condizioni di lavoro e un ambiente professionale sostenibile per rendere le aree meno centrali realmente competitive nell’attrarre specialisti.
UN INVESTIMENTO STRUTTURALE PER UN SISTEMA SANITARIO PIÙ MODERNO
La riforma sanitaria della Danimarca rappresenta non solo un intervento sulla salute pubblica, ma una scelta politica ed economica di lungo periodo. Più che un semplice aumento di risorse, si tratta di una ridefinizione delle priorità nazionali, in cui salute, innovazione tecnologica e coesione territoriale diventano pilastri della competitività del Paese.
Il nuovo modello punta a creare un sistema sanitario più resiliente, con infrastrutture moderne, servizi digitali evoluti e una presenza capillare di medici anche nelle aree periferiche. In questo scenario, le imprese attive nei settori della sanità, della tecnologia, dell’edilizia e dei servizi pubblici troveranno un contesto dinamico, aperto alla collaborazione e orientato all’efficienza.
La Danimarca si distingue così in Europa per la sua capacità di integrare politiche sociali e sviluppo economico, offrendo un ambiente stabile, inclusivo e favorevole all’innovazione. È un esempio di come investire nel benessere collettivo possa generare valore anche per il tessuto produttivo, creando nuove opportunità di crescita e partnership nel medio e lungo termine.
(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio italiana in Danimarca)