Notizie dai mercati esteri - Giappone

Martedì 16 Dicembre 2025

Notizie dai mercati esteri - Giappone

Tokyo introduce la settimana lavorativa di 4 giorni: una rivoluzione per il Giappone?

A partire da aprile 2025, i dipendenti del governo metropolitano di Tokyo potranno scegliere di lavorare solo 4 giorni alla settimana. Questa iniziativa, annunciata dalla governatrice Yuriko Koike, mira a migliorare l'equilibrio tra vita privata e lavoro e a sostenere chi affronta eventi di vita come la nascita di un figlio o l'assistenza familiare.

Si tratta di un cambiamento significativo per il Giappone, un Paese in cui la cultura del lavoro è storicamente legata a lunghe ore in ufficio e a un forte senso di dedizione aziendale. Ma questa mossa potrebbe anche avere un impatto più ampio, contribuendo a contrastare il calo delle nascite e influenzando il mercato del lavoro e degli immobili.

Come funzionerà la settimana lavorativa di 4 giorni?

Il nuovo sistema di lavoro si baserà su un modello flessibile. Attualmente, i dipendenti pubblici di Tokyo hanno diritto a un giorno libero ogni quattro settimane, ma con la riforma potranno prendere un giorno libero ogni settimana. Per compensare, potranno optare per giornate lavorative più lunghe, arrivando fino a 10 ore al giorno.

L'iniziativa fa parte del progetto "Women in Action", pensato per incentivare la partecipazione femminile al mondo del lavoro. È previsto anche un sistema di ferie parziali per i genitori con figli nei primi tre anni di scuola elementare, che consentirà di ridurre l'orario di lavoro fino a due ore al giorno. 

Un cambiamento necessario per il Giappone

Il Giappone sta affrontando una grave crisi demografica. Nel 2023, il numero di nascite è sceso a 727.277, con un tasso di fertilità di appena 1,2 figli per donna, ben al di sotto del livello necessario per mantenere stabile la popolazione. Secondo alcuni esperti, le lunghe ore di lavoro e il difficile equilibrio tra carriera e vita familiare sono tra i motivi principali per cui molte coppie rinunciano ad avere figli. 

Per cercare di invertire la tendenza, negli ultimi anni il governo giapponese ha promosso diverse iniziative, come il congedo di paternità obbligatorio per gli uomini. La settimana lavorativa di 4 giorni potrebbe essere un ulteriore passo in questa direzione, rendendo più facile per le famiglie gestire lavoro e figli. 

Se il progetto avrà successo nel settore pubblico, potrebbe ispirare anche le aziende private a introdurre modelli simili. Tuttavia, in Giappone la mentalità aziendale è ancora fortemente legata all'idea che più ore in ufficio equivalgono a maggiore dedizione. Secondo un report del 2021, solo l'8% delle aziende giapponesi aveva adottato una politica di tre giorni di riposo a settimana. 

Alcune grandi aziende, come Fast Retailing (Uniqlo), Panasonic e Hitachi, hanno già sperimentato la settimana corta, ma la resistenza culturale rimane forte. Inoltre, molti lavoratori temono che una riduzione dei giorni di lavoro possa tradursi in un aumento della pressione per completare le stesse attività in meno tempo.

La possibilità di lavorare un giorno in meno potrebbe influenzare anche il mercato immobiliare e cambiare la geografia demografica di Tokyo. Se sempre più persone potranno lavorare da casa o evitare di recarsi in ufficio tutti i giorni, potremmo assistere a una maggiore domanda di case più spaziose nelle aree periferiche di Tokyo, a scapito del centro della città. Allo stesso tempo, le aziende potrebbero ridurre gli spazi degli uffici o spostarsi verso modelli più flessibili, come il co-working. 

A conti fatti, l'iniziativa del governo metropolitano di Tokyo è un passo importante verso un nuovo equilibrio tra lavoro e vita privata in Giappone. Se funzionerà, potrebbe non solo migliorare il benessere dei lavoratori, ma anche contribuire a risolvere problemi demografici e ridefinire il mercato del lavoro. Tuttavia, il vero cambiamento avverrà solo se il settore privato seguirà l'esempio. 

Dall'after-work obbligatorio alla vita personale: come cambia il lavoratore giapponese

Per decenni, l'immagine del salaryman giapponese è stata iconica: cravatta allentata, maniche della camicia arrotolate, birra in mano in un izakaya affollato dopo l'ennesima giornata lavorativa di dieci ore. Il nomikai (letteralmente "incontro per bere") non era semplicemente un aperitivo con i colleghi, ma un'estensione non detta dell'ufficio, dove si costruivano relazioni, si chiudevano accordi informali e si dimostrava lealtà all'azienda. Rifiutare un invito dal proprio superiore? Praticamente impensabile.

Ma oggi, questo Giappone sta cambiando. E lo sta facendo più velocemente di quanto molti immaginino.

I numeri parlano chiaro: solo il 21% dei giovani giapponesi desidera oggi rimanere nella stessa azienda fino al pensionamento. Nel 2014, appena dieci anni fa, questa percentuale era del 35%. Un crollo significativo che racconta di un cambiamento generazionale profondo. Le nuove generazioni non cercano più la sicurezza a vita in cambio di dedizione totale. Cercano invece un equilibrio, significato nel proprio lavoro, e, cosa un tempo impensabile, la possibilità di cambiare azienda per crescere professionalmente.

Questo cambiamento si riflette anche nelle ore effettivamente lavorate. Nel 2000, il lavoratore medio giapponese lavorava 1.821 ore all'anno. Nel 2022, questa cifra è scesa a 1.626 ore: una riduzione dell'11,6%. I giovani uomini ventenni, che nel 2000 lavoravano in media 46,4 ore settimanali, oggi ne lavorano 38,1. Un cambiamento epocale per un paese che ha coniato il termine karoshi, "morte per eccesso di lavoro".

Ma cosa ne è del nomikai, quel rituale post-lavoro che per generazioni ha definito la cultura aziendale giapponese? Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non sono i giovani a odiare questi raduni. Un sondaggio del 2024 ha rivelato che il 68,8% degli impiegati ventenni vorrebbe partecipare alle feste di fine anno aziendali, contro solo il 40,3% dei cinquantenni. La sorpresa? Sono proprio i manager di mezza età, spesso al vertice delle gerarchie aziendali, a essere più stanchi di queste tradizioni.

Tuttavia, il dato più interessante emerge quando si guarda oltre l'entusiasmo superficiale: tra il 60% e il 70% dei lavoratori giapponesi di tutte le età considera oggi la nominication (il termine che fonde "bere" e "comunicazione") non necessaria per il successo professionale. Le ragioni sono chiare: difficoltà a rilassarsi con i colleghi, la sensazione che sia "straordinario mascherato", il costo (spesso 4.000-5.000 yen a persona), e semplicemente il desiderio di avere tempo per sé. E c'è di più: il consumo di alcol pro capite in Giappone è calato del 25% negli ultimi trent'anni. Alcuni bar stanno persino aprendo con menu di bevande analcoliche per i nomikai, rispondendo a una domanda crescente di socializzazione senza alcol.

Questi cambiamenti non rimangono solo nella sfera dei numeri e delle statistiche, ma si traducono in azioni concrete all'interno delle aziende. Un'executive di Mitsubishi UFJ, Saiko Nanri, ha abolito i nomikai per il suo team, sostenendo che la socializzazione dopo l'orario lavorativo sia improduttiva e penalizzi soprattutto i genitori con figli piccoli, in particolare le donne lavoratrici. Un gesto che sarebbe stato impensabile solo pochi anni fa.

A spingere queste trasformazioni c'è anche un fattore economico fondamentale: la carenza di manodopera. Con un rapporto di 1,24 offerte di lavoro per ogni candidato, le aziende giapponesi stanno facendo a gara per attrarre talenti. E questo significa dover offrire ciò che i lavoratori vogliono: flessibilità, lavoro da remoto (il 75% dei lavoratori ora preferisce modalità flessibili), e rispetto della vita privata.

Per chi guarda al Giappone come partner commerciale o mercato di sbocco, questi cambiamenti sono fondamentali da comprendere. Il Giappone non è più il paese dei lavoratori instancabili disposti a sacrificare tutto per l'azienda. È un paese dove i giovani professionisti privilegiano il work-life balance (il 38% dei Gen Z lo considera più importante dello stipendio), dove il cambio di lavoro non è più un tabù, e dove le aziende devono competere per attrarre e trattenere talenti.

Questo significa che le vecchie regole stanno cambiando. Non ci si può più aspettare che i partner giapponesi siano disponibili per cene di lavoro fino a tarda notte. Non bisogna stupirsi se i giovani manager cercano di concludere gli incontri in orario d'ufficio. E, soprattutto, occorre riconoscere che dietro questi cambiamenti c'è una società che sta finalmente mettendo in discussione il prezzo umano del successo economico.

Il Giappone del futuro sarà probabilmente più simile all'Europa di quanto molti immaginino: un equilibrio tra produttività e qualità della vita, tra successo professionale e felicità personale. Questa convergenza di valori potrebbe aprire nuove opportunità di collaborazione, basate su una comprensione condivisa di cosa significhi davvero lavorare bene.

(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana in Giappone)

Ultima modifica: Martedì 16 Dicembre 2025