Notizie mercati esteri

Venerdì 19 Dicembre 2025

Notizie dai mercati esteri - Corea del Sud

Le esportazioni Sud coreane crescono del 17,3% nei primi 10 giorni di dicembre grazie alle forti vendite di chip

Le esportazioni della Corea del Sud sono aumentate del 17,3% su base annua nei primi 10 giorni di dicembre, sostenute dalla forte domanda globale di semiconduttori e dall’aumento dei giorni lavorativi, secondo i dati diffusi giovedì. Le spedizioni verso l’estero hanno raggiunto i 20,58 miliardi di dollari nel periodo 1–10 dicembre, rispetto ai 17,54 miliardi di dollari registrati un anno prima, secondo i dati del Korea Customs Service. Si tratta del valore più elevato mai registrato per un periodo di 10 giorni.

Le esportazioni giornaliere medie sono cresciute del 3,5% su base annua, raggiungendo i 2,42 miliardi di dollari, ha riferito l’ufficio doganale. Il numero di giorni lavorativi nel periodo è stato di 8,5 giorni, rispetto ai 7,5 giorni dell’anno precedente. Le importazioni sono aumentate dell’8% su base annua, attestandosi a 20,65 miliardi di dollari, determinando un deficit commerciale di 70 milioni di dollari. La forte domanda di semiconduttori ha trainato la crescita complessiva delle esportazioni.

Le spedizioni di chip sono balzate del 45,9% rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 5,27 miliardi di dollari. Le esportazioni di semiconduttori hanno rappresentato il 25,6% delle esportazioni totali del Paese nel periodo di 10 giorni, in aumento di 5 punti percentuali rispetto a un anno prima.

Le esportazioni di prodotti petrolchimici sono cresciute del 23,1% su base annua, raggiungendo 1,51 miliardi di dollari, mentre quelle di acciaio sono aumentate dell’1,9%, arrivando a 1,19 miliardi di dollari. Al contrario, le esportazioni di automobili sono diminuite del 5,7% su base annua, attestandosi a 1,36 miliardi di dollari, e le spedizioni di navi sono crollate del 47,7%, scendendo a 567 milioni di dollari.

Per destinazione, le esportazioni verso la Cina, principale partner commerciale della Corea del Sud, sono aumentate del 12,9%, raggiungendo i 4,23 miliardi di dollari. Le esportazioni verso gli Stati Uniti, invece, sono diminuite del 3,2% su base annua, fermandosi a 3,57 miliardi di dollari, a causa delle nuove misure tariffarie introdotte da Washington. Le spedizioni verso il Vietnam sono balzate del 35,8%, raggiungendo i 2,13 miliardi di dollari, mentre quelle verso l’Unione Europea sono aumentate del 2,6%, arrivando a 1,59 miliardi di dollari.

Nel mese di novembre, le esportazioni sono cresciute dell’8,4% rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 61,04 miliardi di dollari, il livello più alto mai registrato per un mese di novembre, trainate dalla forte domanda di semiconduttori. Le esportazioni cumulative nel periodo gennaio–novembre hanno raggiunto i 640,2 miliardi di dollari, un record per il periodo considerato, alimentando le aspettative che le esportazioni annuali del Paese superino per la prima volta nella storia la soglia dei 700 miliardi di dollari quest’anno.

SK Innovation completa il più grande parco eolico offshore della Corea realizzato con investimenti privati

SK Innovation E&S ha dichiarato di aver completato la costruzione del Jeonnam Offshore Wind Power Plant 1 — il più grande parco eolico offshore della Corea del Sud realizzato con investimenti privati — segnando un traguardo importante nel percorso del Paese verso la neutralità carbonica.

La cerimonia di completamento si è tenuta in giornata presso il Ramada Plaza Hotel nella contea di Sinan, nella provincia di Jeolla del Sud, alla presenza, tra gli altri, del ministro del Clima, dell’Energia e dell’Ambiente Kim Sung-hwan, del governatore della provincia di Jeolla del Sud Kim Young-rok e dell’amministratore delegato di SK Innovation E&S, Lee Jong-soo.

Avviato nel 2020, il progetto da 96 megawatt è una joint venture tra SK Innovation E&S e Copenhagen Infrastructure Partners (CIP), investitore globale nel settore delle energie rinnovabili. L’impianto è composto da dieci turbine da 9,6 megawatt ciascuna e dovrebbe generare circa 300 gigawattora di elettricità all’anno — sufficienti ad alimentare 90.000 abitazioni — riducendo al contempo le emissioni di carbonio di 240.000 tonnellate annue rispetto alla produzione da carbone.

SK Innovation E&S ha sottolineato il modello di finanziamento del progetto come un importante progresso per il settore. Si tratta del primo progetto di energia rinnovabile in Corea ad adottare il project financing non recourse, in cui i prestiti sono garantiti esclusivamente dai flussi di cassa futuri del progetto e dalla sua fattibilità tecnica, senza garanzie da parte degli azionisti. Secondo l’azienda, questo approccio è destinato ad attirare maggiori capitali privati nel settore delle rinnovabili.

Il completamento dell’impianto rappresenta il primo passo concreto di un piano più ampio per sviluppare, entro il 2035, un cluster eolico offshore da 8,2 gigawatt nella regione. L’iniziativa ha ricevuto un ulteriore impulso ad aprile, quando una sezione da 3,2 gigawatt — che include il parco appena completato — è stata designata come “complesso specializzato per l’energia eolica”, beneficiando di procedure autorizzative accelerate e di un maggiore supporto governativo.

«Il completamento del Jeonnam Offshore Wind Power Plant 1 è un trampolino di lancio per portare l’industria eolica offshore coreana alla fase successiva», ha dichiarato Lee Jong-soo, CEO di SK Innovation E&S. «Continueremo a lavorare per rafforzare l’ecosistema industriale, sostenere l’economia locale e contribuire agli obiettivi nazionali in materia di energie rinnovabili».

SK Innovation E&S e CIP prevedono di completare le valutazioni di impatto ambientale per la seconda e la terza fase del progetto entro la prima metà del prossimo anno. L’inizio dei lavori è previsto per la fine del 2027, con l’obiettivo di espandere il cluster fino a 900 megawatt — una capacità approssimativamente equivalente a quella di un reattore nucleare — entro il 2031.

I produttori coreani di batterie ripensano la strategia in Europa mentre la Cina guadagna terreno

Mentre i colossi cinesi delle batterie affrontano un eccesso di offerta sul mercato interno e crescenti pressioni politiche in Nord America, stanno reindirizzando la loro potenza verso l’Europa — il secondo mercato mondiale dei veicoli elettrici e, sempre più, il principale campo di battaglia per la leadership globale nel settore delle batterie. Grazie a politiche di prezzo aggressive e a una scala produttiva enorme, i fornitori cinesi si stanno espandendo rapidamente attraverso le esportazioni, ancora prima che entrino in funzione i loro impianti chiave in Europa, riducendo lo spazio un tempo saldamente occupato da LG Energy Solution, Samsung SDI e SK On della Corea.

Con l’Europa che si prepara a introdurre controlli più stringenti sulle catene di approvvigionamento cinesi — sebbene ancora molto meno severi rispetto alla stretta di Washington — i produttori coreani di batterie puntano sul fatto che la pressione regolatoria, combinata con strategie di prodotto più specifiche per il mercato europeo, possa rallentare l’avanzata della Cina e aiutarli a difendere le proprie quote di mercato.

CATL ha avviato i lavori del suo stabilimento congiunto con Stellantis in Spagna, mentre il suo sito indipendente in Ungheria è destinato ad avviare la produzione di massa il prossimo anno. Insieme alla sua operazione più piccola in Germania, la capacità europea di CATL è destinata a superare i 160 gigawattora — sufficienti ad alimentare oltre 2 milioni di veicoli elettrici.

La spinta cinese arriva proprio mentre Bruxelles si muove per ridurre la dipendenza dalle catene di approvvigionamento cinesi. Il Net Zero Industry Act dell’UE prevede che almeno il 40% delle batterie del blocco sia prodotto localmente entro il 2030, mentre il Carbon Border Adjustment Mechanism introduce dazi legati alle emissioni di carbonio.

Tuttavia, il vantaggio iniziale acquisito dalle aziende coreane con la costruzione di impianti in Ungheria e Polonia si sta rapidamente erodendo. Secondo SNE Research, la loro quota di mercato complessiva in Europa è crollata dal 60,4% nel 2023 a circa il 30% nel 2025, mentre i fornitori cinesi stanno salendo verso il 60%. La traiettoria è particolarmente preoccupante considerando la posizione strategica di CATL in Ungheria, affiancata dai maggiori costruttori automobilistici europei — Mercedes-Benz, BMW, Stellantis e Volkswagen — molti dei quali sono clienti chiave del trio coreano delle batterie.

L’Europa si sta preparando a rafforzare i controlli sugli investimenti esteri e ad avviare indagini antisovvenzioni rivolte alle aziende cinesi di veicoli elettrici e batterie che hanno beneficiato di un forte sostegno statale. Tuttavia, secondo gli addetti ai lavori, l’impatto potrebbe rivelarsi limitato.

Un esperto di regolamentazione UE ha osservato che le ambizioni di Bruxelles sono già state ridimensionate. «Inizialmente l’UE puntava a regole stringenti sulla divulgazione dell’impronta di carbonio, sulla due diligence e sulla rendicontazione tramite il battery passport. Ma i recenti emendamenti omnibus hanno attenuato alcuni requisiti, creando segnali regolatori contrastanti».

Gli interessi economici stanno divergendo in modo ancora più marcato tra i Paesi membri dell’UE. Stati come l’Ungheria continuano ad attirare investimenti cinesi, complicando qualsiasi tentativo di azione unitaria a livello europeo. «Alla fine, che si tratti dell’Ungheria o della Spagna, prevalgono le priorità economiche e nuovi impianti di batterie sono inevitabili», ha affermato l’esperto. «Anche se l’Europa inasprisse le regole, sarebbe necessario un salto regolatorio ben più ampio per limitare in modo significativo un attore come CATL».           

Kim Tae-hwang, professore di commercio internazionale all’Università Myongji, ha aggiunto che la postura geopolitica europea rimane volutamente ambigua. «L’UE si allinea alle preoccupazioni degli Stati Uniti sulla Cina, ma evita una rottura totale, rendendo improbabile una svolta netta in una direzione o nell’altra. Questo significa che la Cina affronta pressioni, ma non sanzioni sul modello statunitense».

Di fronte a un contesto competitivo sempre più difficile, i produttori coreani di batterie stanno diversificando il proprio mix di prodotti — andando oltre le celle premium ad alta autonomia per includere batterie di fascia media e di massa — e accelerando al contempo il passaggio alla tecnologia al litio ferro fosfato (LFP), una chimica a lungo dominata dai fornitori cinesi.

«In Europa, gli automobilisti tendono a percorrere distanze più brevi e fanno maggiore affidamento sulla ricarica rapida, quindi non hanno necessariamente bisogno di celle ad alto contenuto di nichel», ha affermato una fonte del settore. «I fornitori coreani si sposteranno sempre più dall’alto nichel al medio nichel e, in prospettiva, verso l’LFP, che sta migliorando nelle prestazioni fino ad avvicinarsi a quelle del medio nichel».

Il recente contratto di fornitura da 2.000 miliardi di won (1,4 miliardi di dollari) tra LG Energy Solution e Mercedes-Benz sottolinea questo cambiamento. Sebbene i dettagli sulla chimica non siano stati resi pubblici, fonti del settore prevedono che le batterie saranno celle NCM a medio contenuto di nichel, destinate alla gamma di veicoli elettrici di fascia media della casa automobilistica.

La fonte ha inoltre espresso dubbi sulla realistica fattibilità dei 160 gigawattora di capacità produttiva europea pianificati da CATL, osservando che ciò rischia di replicare il problema di sovracapacità già presente in Cina. Anche nel loro picco del 2023, i fornitori coreani hanno spedito complessivamente in Europa solo alcune decine di gigawattora — un netto contrasto con la scala che la Cina ora punta a costruire sul suolo europeo.

(Contributo editoriale a cura della Italian Chamber of Commerce in Korea)

Ultima modifica: Venerdì 19 Dicembre 2025
Venerdì 19 Dicembre 2025

L’Argentina ufficializza la riduzione dei diritti di esportazione per soia, mais e grano

Il Governo argentino ha ufficializzato una riduzione permanente dei diritti di esportazione applicati a soia, mais, grano e ad altri prodotti agricoli strategici. La misura si inserisce in una più ampia strategia economica volta a rafforzare la competitività del settore agroindustriale, uno dei pilastri dell’economia nazionale e principale fonte di entrate in valuta estera.

La decisione punta a migliorare le condizioni di redditività per i produttori e a incentivare le esportazioni, in un contesto in cui l’agroindustria continua a svolgere un ruolo centrale nelle catene del valore globali. Secondo fonti del settore, la riduzione del carico fiscale rappresenta un segnale positivo per la pianificazione della prossima campagna agricola e per il rilancio degli investimenti lungo tutta la filiera, dalla produzione primaria alla trasformazione industriale.

Per i mercati internazionali e per gli operatori stranieri interessati all’Argentina, il provvedimento conferma l’orientamento del Paese a creare condizioni più favorevoli per il commercio estero e l’integrazione nei flussi agroalimentari globali. In particolare, nelle regioni ad alta vocazione produttiva rafforzando il proprio posizionamento come snodo chiave dell’export agricolo, con potenziali ricadute positive su logistica, servizi e occupazione.

(Contributo editoriale a cura della Cámara de Comercio Italiana de Rosario)

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Venerdì 19 Dicembre 2025

Barcellona punta sugli Stati Uniti per attrarre investimenti: missione ufficiale del Ministro Duch a New York

Il Ministro dell’Unione Europea e Azione Esteriore, Jaume Duch, ha guidato una missione istituzionale a New York per partecipare al vertice “Barcellona–New York: la piattaforma di lancio per la tua espansione europea”, organizzato da Barcelona & Partners, l’agenzia di atrazione investimenti di Barcelona Global. L’incontro, ospitato presso la IESE Business School, ha riunito oltre 70 dirigenti e investitori statunitensi interessati alle opportunità offerte dall’ecosistema innovativo catalano.

Durante l’evento, Duch ha presentato Barcellona e la Catalogna come poli europei di riferimento in innovazione, competitività e sostenibilità, evidenziando l’impegno del governo per consolidare la regione come hub leader a livello europeo. Il ministro ha annunciato una nuova strategia di attrazione degli investimenti esteri che punta a mobilitare 6 miliardi di euro e portare 600 nuovi progetti internazionali entro il 2030, oltre a raggiungere l’obiettivo delle 10.000 filiali straniere presenti sul territorio.

L’incontro ha anche messo in luce il ruolo chiave della collaborazione pubblico-privata tra il Governo della Catalogna, il Comune di Barcellona e Barcelona Global, considerata uno dei fattori determinanti nel forte aumento degli investimenti: nel 2024 la Catalogna ha registrato un record storico con oltre 1 miliardo di euro e 8.000 nuovi posti di lavoro, secondo i dati ACCIÓ. La missione si è conclusa con un gesto simbolico: la proiezione di un video promozionale di Barcellona su Times Square, volto a rafforzare l’immagine della città come metropoli aperta al talento e all’innovazione.

La missione negli Stati Uniti conferma la volontà di Barcellona di attrarre imprese internazionali, offrendo un contesto particolarmente favorevole per chi desidera espandersi nel mercato europeo. Per le aziende straniere, questa rappresenta un’opportunità concreta: Barcellona è oggi uno dei principali hub europei nei settori dell’innovazione, dell’intelligenza artificiale, della sostenibilità e dell’industria digitale, ambiti nei quali molte imprese italiane stanno già investendo. La nuova strategia catalana sugli investimenti esteri crea ulteriori possibilità di sviluppo, favorendo la nascita di joint venture, progetti pilota e una maggiore presenza commerciale per chi mira a crescere all’estero.

Allo stesso tempo, la forte partecipazione di investitori statunitensi evidenzia un ecosistema dinamico e competitivo, ideale per aziende italiane in cerca di partnership internazionali o di capitali per scalare. La Catalogna, inoltre, rappresenta un mercato vicino e culturalmente compatibile, dotato di infrastrutture solide e di un ambiente imprenditoriale avanzato, configurandosi come porta d’ingresso naturale verso la Penisola Iberica.

(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana - Barcellona)

Ultima modifica: Venerdì 19 Dicembre 2025
Venerdì 19 Dicembre 2025

Leadership francese, risposta italiana: la mappa delle business school in Europa

L’ultimo European Business School Ranking del Financial Times 2025 delinea in modo piuttosto netto la geografia della formazione manageriale in Europa: la Francia presidia stabilmente il vertice, mentre l’Italia si affida a una singola punta d’eccellenza e a una seconda linea ancora in fase di consolidamento. Nella Top 10 europea compaiono infatti cinque business school francesi, un dato che, più che un risultato episodico, descrive un vero ecosistema. Ai primi posti si collocano INSEAD e HEC Paris, rispettivamente al primo e al secondo posto; seguono ESCP Business School al quarto, ESSEC Business School al settimo ed EDHEC Business School al decimo. In pratica, metà delle prime dieci posizioni è occupata da istituzioni francesi, con una densità che nessun altro Paese europeo è in grado di eguagliare.

Il profilo italiano è differente: SDA Bocconi School of Management si posiziona al sesto posto ed è l’unica scuola italiana a giocare stabilmente nel club delle élite continentali. Dietro di lei, Polimi Graduate School of Management del Politecnico di Milano, intorno alla metà classifica europea, Luiss Business School e Bologna Business School presidiano con solidità la Top 100 ma con un peso complessivo molto inferiore rispetto al blocco francese. La fotografia è chiara: da un lato una filiera articolata di grandes écoles de management che esprime massa critica, dall’altro una configurazione italiana polarizzata, con un picco molto alto e un “secondo livello” ancora distante dai benchmark francesi.

Come funziona davvero il ranking FT

Per comprendere il significato di questo divario occorre guardare alle metriche del ranking. Il Financial Times valuta in modo integrato MBA, Executive MBA, Master in Management ed Executive Education, incrociando indicatori come progressione di carriera e retribuzione dei diplomati, intensità di internazionalizzazione, qualità della faculty, capacità di attrarre talenti globali e livello di interazione con il mondo corporate. Emergono in cima le scuole che possiedono un portafoglio completo di programmi, un posizionamento internazionale forte e una relazione strutturale con le imprese.

Da questo punto di vista, le business school francesi si presentano come piattaforme educative multidimensionali: campus in più Paesi, coorti fortemente internazionali, partnership sistemiche con grandi gruppi industriali e finanziari, una cultura dell’executive education altamente sviluppata, soprattutto sui programmi su misura per le aziende.

Il posizionamento italiano: una star e tre inseguitrici

L’Italia si muove su un terreno diverso. SDA Bocconi rappresenta una punta di eccellenza riconosciuta a livello globale, con MBA ed EMBA di riferimento e una tradizione consolidata nella formazione manageriale executive. Tuttavia, la continuità di sistema si interrompe già al secondo gradino: Polimi Graduate School of Management lavora con successo sull’ibridazione tra ingegneria, tecnologia e management, ma su una scala ancora inferiore rispetto alle principali scuole francesi; Luiss Business School sta rafforzando il proprio profilo internazionale sui temi di economia, policy e governance, ma sconta un ritardo in termini di brand globale e dimensione; Bologna Business School è fortemente radicata nel tessuto imprenditoriale emiliano e nella manifattura avanzata, ma rimane maggiormente focalizzata sul mercato nazionale ed europeo, con un raggio d’azione meno esteso rispetto ai grandi player transnazionali.

In sintesi, l’Italia dispone di una “star” allineata ai top player mondiali e di tre inseguitrici credibili, ma prive, nel complesso, della stessa potenza di fuoco del cluster francese.

Le leve strutturali del vantaggio francese

Le ragioni della leadership francese sono innanzitutto strutturali. La prima riguarda la scala dell’ecosistema: la Francia ha costruito nel tempo una rete di grandi scuole di management altamente selettive, distribuite sul territorio e al tempo stesso fortemente collegate tra loro e con il sistema delle imprese. Questa architettura genera un effetto di competizione-cooperazione che spinge tutte le scuole a investire in innovazione pedagogica, internazionalizzazione e servizi di carriera, ampliando costantemente il bacino di studenti, alumni e partner aziendali. In Italia, al contrario, il numero di business school con forte visibilità internazionale è limitato e la logica di sistema è molto meno esplicita.

La seconda leva è il portafoglio integrato di programmi: le business school francesi presidiano l’intera catena del valore formativo, dal Master in Management pre-experience agli MBA, dagli EMBA ai programmi executive open, fino ai percorsi totalmente customizzati per il top management delle imprese. Questo consente di intercettare bisogni diversi lungo tutta la vita professionale dei manager, di sviluppare relazioni profonde con il mondo corporate e, non da ultimo, di accumulare punteggio su tutti i segmenti considerati dal ranking. In Italia, salvo poche eccezioni, la copertura è più frammentata e meno bilanciata.

Una terza componente riguarda l’internazionalizzazione reale, non solo dichiarata.
Campus multipli in città chiave, programmi interamente in inglese, facoltà internazionali, network di alleanze accademiche e corporate su scala globale rendono le scuole francesi piattaforme autenticamente transnazionali. L’Italia ha avviato percorsi analoghi soprattutto con Bocconi e, in misura crescente, con Polimi e Luiss, ma i volumi complessivi e la visibilità all’estero sono ancora inferiori. A questo si aggiunge un tema di capacità di investimento:
il posizionamento premium delle principali scuole francesi consente politiche di tuition più elevate, la mobilitazione di capitali privati e la creazione di infrastrutture di ricerca, innovazione e placement difficilmente replicabili da istituzioni vincolate da logiche prevalentemente pubbliche o da mercati domestici di dimensioni più ridotte.

La partita italiana: dall’eccellenza al sistema

La domanda rilevante, per l’Italia, non è se competere con la Francia sul terreno delle singole eccellenze partita in cui SDA Bocconi è già protagonista ma come trasformare una somma di buone esperienze in un ecosistema riconoscibile. Il salto di qualità passa dal rafforzamento della “seconda linea” portando sistematicamente Polimi, Luiss e Bologna Business School in una fascia di classifica europea più alta, attraverso un mix di internazionalizzazione aggressiva, sviluppo di programmi executive di nuova generazione, investimenti in ricerca applicata e partnership stabili con le imprese.

In parallelo, il Paese potrebbe capitalizzare in modo molto più strategico i propri asset distintivi: moda, design, agroalimentare, turismo, cultura e manifattura avanzata hanno tutte le caratteristiche per diventare veri laboratori manageriali, capaci di generare offerte formative uniche a livello globale, se integrati in centri e piattaforme condivise tra più scuole.

Verso una nuova mappa europea

In questo scenario, la leadership francese non è un destino irreversibile ma il risultato di scelte coerenti nel tempo. La risposta italiana passa da una strategia che smetta di affidarsi alla sola forza di una singola istituzione e inizi a costruire un “sistema Italia” della formazione manageriale, dove più business school riescano a posizionarsi con continuità nello stesso campionato delle grandes écoles francesi. Solo così la mappa europea delle business school potrà, nel medio periodo, mostrare un equilibrio meno sbilanciato, con la Francia ancora protagonista ma con un’Italia finalmente in grado di giocare un ruolo sistemico e non soltanto di nicchia.

(Contributo editoriale a cura della Chambre de Commerce Italienne Nice, Sophia-Antipolis, Cote d'Azur)

Ultima modifica: Venerdì 19 Dicembre 2025
Venerdì 19 Dicembre 2025

Il vino italiano in Giappone: evoluzione e prospettive

Il legame fra l’Italia e il Giappone nel campo dell’enogastronomia è cresciuto costantemente negli ultimi decenni: il vino italiano, con la sua ricchezza di territori, stili e qualità, ha trovato nel Sol Levante un terreno fertile per affermarsi, inizialmente come aggiornamento di nicchia per pochi appassionati, poi come parte integrante della cultura del vino importato.

Il mercato del vino in Giappone ha visto un aumento notevole negli ultimi anni: l’interesse verso vini d’importazione è cresciuto sensibilmente, spinto da una domanda di qualità e da un apprezzamento crescente soprattutto da parte della generazione più giovane e delle donne.
Il rafforzamento della presenza italiana nel paese è anche frutto di un’azione strutturata: enti e istituzioni italiani hanno promosso la partecipazione a fiere, degustazioni e iniziative volte a far conoscere il vino italiano agli operatori e ai consumatori giapponesi.
E’ così che l’Italia è diventata uno dei principali fornitori di vino in Giappone con una reputazione basata su territorio, tradizione e varietà: non più solo prodotti iconici, ma una gamma diversificata che spazia dai rossi strutturati ai bianchi, dai vini frizzanti agli spumanti.

Nel 2024 il mercato giapponese del vino ha registrato una crescita moderata nei consumi e nelle importazioni, pur con un calo del valore medio dovuto alla pressione sui prezzi. L’Italia, tuttavia, ha continuato a rafforzare la propria presenza, distinguendosi non solo nei vini imbottigliati ma anche nei formati alternativi, come bag-in-box e vino sfuso, in forte aumento. Ciò conferma l’evoluzione del consumatore giapponese verso soluzioni più flessibili e con un buon rapporto qualità-prezzo.

Sul piano globale, il 2024 è stato segnato da una riduzione della produzione e da un clima di incertezza, fattori che rendono ancora più decisivi autenticità, sostenibilità e valorizzazione del territorio. In questo scenario, il Giappone si è confermato come il principale mercato asiatico per il vino italiano, ponendo basi solide per le prospettive dell’anno successivo.

Questo quadro, seppur complesso, crea le premesse per comprendere le dinamiche del 2025, anno che ha presentato segnali contrastanti ma anche nuove opportunità per il vino italiano in Giappone.
Infatti da un lato, a livello globale il settore sta attraversando una fase di assestamento: nel primo semestre 2025 il commercio internazionale del vino ha registrato una flessione sia in valore (-2,3%) sia in volume (-3,7%) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, riflettendo un contesto di incertezza e riduzione dei consumi.
Dall’altro lato, però, il Giappone mostra una dinamica più resiliente rispetto alla media mondiale. Nel primo semestre 2025 le importazioni di vino nel paese sono infatti aumentate in valore (+2,61% rispetto al 2024), pur registrando un leggero calo dei volumi.
Questo andamento suggerisce un mercato che, pur sensibile ai cambiamenti macroeconomici, continua a riconoscere valore ai prodotti importati, tra cui quelli italiani.

Tuttavia, l’instabilità valutaria, l’inflazione e la pressione sui prezzi medi indicano che per l’Italia non sarà sufficiente puntare esclusivamente sui segmenti premium: sarà necessario adattarsi alle nuove preferenze dei consumatori giapponesi, offrendo qualità, varietà e formati più versatili e accessibili. In un contesto globale di riduzione produttiva e di domanda più selettiva, una strategia efficace per l’Italia potrà fondarsi sulla valorizzazione dell’identità territoriale con denominazioni, tipicità, storia e sostenibilità: elementi sempre più determinanti per un consumo consapevole e per distinguersi in un mercato competitivo come quello giapponese.

L’esperienza del vino italiano in Giappone è un esempio di come un amore per la cultura, per il gusto e per la qualità possa superare distanze geografiche e tradizioni differenti. Da prodotto d’importazione di nicchia, il vino italiano è diventato un simbolo di gusto e di eleganza nel contesto giapponese, e oggi affronta una fase di trasformazione non più fatta solo di bottiglie pregiate, ma anche di formati accessibili, adattati a nuovi stili di consumo, con un occhio attento a rapporto qualità-prezzo e praticità.
Il 2026, pur in uno scenario globale complesso, offre all’Italia concrete opportunità di consolidare la propria presenza in Giappone: la chiave sarà saper unire qualità, varietà, identità territoriale e adattamento alle nuove preferenze del consumatore giapponese.
Un bicchiere di vino diventa così un ponte culturale, un dialogo tra territori e un segno di fiducia tra due mondi lontani ma affini.

(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana in Giappone)

Ultima modifica: Venerdì 19 Dicembre 2025
Martedì 16 Dicembre 2025

Rio de Janeiro si candida a hub strategico per petrochemica e fertilizzanti: investimenti oltre i R$ 25 miliardi entro il 2030

Il Rio de Janeiro sta consolidando una posizione di rilievo sulla mappa industriale del Brasile, grazie a un potenziale di investimenti nel settore della petrochemica e dei fertilizzanti che, secondo la quarta edizione dello studio “Petroquímica e Fertilizantes no Rio de Janeiro 2025” pubblicato dalla Firjan SENAI SESI, potrebbe superare i 25 miliardi di reais entro il 2030. Realizzato con il contributo di istituzioni chiave quali Petrobras, Braskem, BNDES, Porto do Açu, ICONIC, il Ministero dell’Agricoltura e l’Embrapa, il rapporto pone l’accento sul ruolo centrale dello stato come hub per la reindustrializzazione e per la sicurezza energetica e alimentare del paese.

Il principale elemento competitivo, sottolinea l’indagine, è l’espansione dell’uso del gas naturale estratto dal pre-sal, la cui capacità di esporto è stata potenziata dal gasdotto Rota 3 e dall’Unità di Processo di Gas Naturale (UPGN) nel Complesso di Energie Boaventura a Itaboraí. Questo approvvigionamento energetico robusto non solo rafforza la base della petrochemica esistente, ma motiva nuovi progetti di fertilizzanti integrati alla catena produttiva. Tra i progetti di maggiore impatto figura Trasforma Rio di Braskem, un investimento di circa R$ 4,3 miliardi per la costruzione di un nuovo “cracker” per l’etano e l’espansione della produzione di polietilene a Duque de Caxias, con un aumento di capacità di 230 mila tonnellate all’anno e la creazione di migliaia di posti di lavoro nella fase di costruzione. 

Petrobras, nel medesimo contesto, conferma un ruolo significativo con un piano di investimenti di 15,8 miliardi di dollari nel segmento raffinazione, trasporto e commercializzazione per il quinquennio 2026–2030, mantenendo una quota rilevante delle risorse totali destinate allo stato del Rio de Janeiro. Ulteriori investimenti tecnologici in progetti come il Craqueamento Catalítico Fluido (FCC) dimostrano l’impegno della compagnia petrolifera nell’innovazione e nella decarbonizzazione nei processi industriali. 

La dimensione dei fertilizzanti emerge come un capitolo cruciale della transizione verso maggiore autonomia produttiva nazionale. Il rapporto evidenzia la forte dipendenza del Brasile dalle importazioni, con oltre l’85% della domanda soddisfatta dall’estero e la totale importazione di ureia, esponendo il settore agricolo a rischi geopolitici e alla volatilità dei cambi. Il Piano Nazionale dei Fertilizzanti mira a ridurre tale dipendenza al 45–50% entro il 2050, e il Rio de Janeiro si propone come nodo strategico con iniziative logistiche e produttive come l’unità di fertilizzanti nitrogenati al Porto do Açu, con capacità produttiva prevista di oltre un milione di tonnellate annue di ureia e ammoniaca, e la prospettiva di un’ulteriore fabbrica a Macaé. 

Accanto alle produzioni tradizionali, prendono forma progetti orientati alla sostenibilità, tra cui la produzione di fertilizzanti a basso tenore di carbonio come l’ammoniaca verde, ottenuta tramite elettrolisi dell’acqua, e l’istituzione di un Centro di Eccellenza in Fertilizzanti e Nutrizione delle Piante presso il Parco Tecnologico dell’Università Federale di Rio de Janeiro, destinato a fungere da ponte tra ricerca, industria e agricoltura. 

Infine, per la prima volta lo studio include l’analisi del mercato dei lubrificanti, in crescita nel 2025 e rilevante per la transizione energetica, oltre a evidenziare il ruolo delle linee di finanziamento del BNDES per sostenere progetti di decarbonizzazione e innovazione tecnologica nel settore. 

Fonte: Firjan

(Contenuto editoriale a cura della Camera Italo-Brasiliana di Commercio e Industria di Rio de Janeiro)

Ultima modifica: Martedì 16 Dicembre 2025
Martedì 16 Dicembre 2025

Nizza, capitale del cinema italiano sulla Costa Azzurra

Sulla mappa del cinema mondiale, la Costa Azzurra fa pensare subito a Cannes, al tappeto rosso e alle salite delle scale. Eppure, quando si parla di cinema italiano, è Nizza a prendersi il primo piano. Ogni primavera la città si trasforma in un vero hub franco-italiano grazie alle Giornate del Cinema Italiano organizzate all’”Espace Magnan”. Un appuntamento discreto nella forma ma densissimo nei contenuti, che nel tempo ha imposto Nizza come capitale del cinema italiano sulla Costa Azzurra.

Un festival radicato nel quotidiano nizzardo

Le Giornate del Cinema Italiano non sono più il “piccolo evento culturale” che si scopre per caso. Fanno ormai parte del paesaggio. Da oltre trent’anni l’Espace Magnan dedica una quindicina di giorni a una programmazione interamente centrata sul cinema proveniente dalla penisola. In questo periodo la sala si mette all’ora di Roma, Napoli, Torino o Palermo: fiction sociali, commedie amare, opere prime, documentari, film passati da Venezia o Berlino ma ancora inediti in Francia.

La linea editoriale è chiara: offrire al pubblico della Costa Azzurra un panorama esigente del cinema italiano contemporaneo, spesso in anteprima, con un’attenzione particolare ai nuovi autori e ai temi sociali. Siamo lontani dalla cartolina immobile della Dolce Vita. Sullo schermo l’Italia appare come un Paese attraversato da tensioni attualissime: ricomposizione delle famiglie, fratture Nord/Sud, precarietà giovanile, trasformazioni del lavoro, questioni di genere.

Nizza quindi non si limita ad “ospitare film italiani”. La città diventa piattaforma di lancio verso il pubblico francese del litorale, da Marsiglia al confine, con uno zoccolo duro di spettatori che segue il festival di edizione in edizione.

Un ponte educativo franco-italiano

Una parte essenziale del dispositivo si gioca al mattino, con le proiezioni scolastiche. L’Académie de Nice si appoggia al festival per proporre a classi di scuole medie e licei un’immersione nel cinema italiano in versione originale sottotitolata. I film sono scelti in funzione dei livelli, i dossier pedagogici circolano in anticipo e le proiezioni proseguono con momenti di confronto in sala.

Per i docenti di italiano queste sessioni sono uno strumento molto concreto: gli studenti ascoltano la lingua, percepiscono gli accenti, il ritmo reale dei dialoghi. Per gli insegnanti di storia-geografia, scienze sociali o lettere, questi film diventano casi di studio sull’Europa del Sud, sulle dinamiche sociali italiane, sulle migrazioni o sulle trasformazioni urbane. Si passa da un’Italia astratta nei manuali a un’Italia filmata, discussa, talvolta anche messa in discussione.

Al di là della scuola, il festival guarda anche alle famiglie. Alcune proiezioni sono pensate per i più giovani, con film d’animazione o fiction accessibili, e questo permette di introdurre molto presto un contatto naturale con la lingua e la cultura italiane.

Una diplomazia culturale a misura d’uomo

Le Giornate del Cinema Italiano funzionano anche come un vero e proprio motore di diplomazia culturale. Le istituzioni italiane presenti in Francia, in particolare il consolato generale e le reti culturali, trovano in questo festival un canale efficace per valorizzare la produzione contemporanea, ben oltre i grandi classici già noti al pubblico francese.

Dal lato nizzardo, gli attori culturali dispongono di uno strumento solido per affermare l’identità mediterranea ed europea del territorio. La vicinanza storica con l’Italia non resta uno slogan: si traduce in una programmazione mirata, in incontri con registi, in dibattiti con le troupe, in serate dove si incrociano professionisti italiani, programmatori francesi, associazioni franco-italiane e cinefili.

Anno dopo anno, questo lavoro costruisce un ecosistema franco-italiano stabile: registi e registe italiani vengono a presentare le proprie opere, i programmatori individuano nuovi titoli per altre sale, gli insegnanti mettono in piedi progetti didattici ricorrenti attorno al festival. L’amicizia franco-italiana, spesso evocata a livello dei capi di Stato, qui prende forma in modo molto semplice: in una sala, davanti a uno schermo, lasciando risuonare la lingua italiana a Nizza.

Nizza, palcoscenico principale del cinema italiano sulla Costa Azzurra

Per la sua lunga storia, la coerenza della programmazione, il lavoro con il pubblico giovane e la rete di partner, il festival nizzardo si è imposto come riferimento sulla Costa Azzurra per il cinema italiano. Lungo il litorale non esiste un altro appuntamento che concentri un numero simile di film, ospiti e incontri dedicati alla creazione italiana contemporanea.

Parlare di «Nizza, capitale del cinema italiano sulla Costa Azzurra» non è quindi un semplice effetto retorico. È lo specchio di una realtà: un evento ben identificato nell’agenda culturale locale, un supporto di lavoro per gli istituti scolastici, un legame vivo tra due Paesi che condividono un tratto di Mediterraneo, ma anche un immaginario comune e, ormai, storie di cinema vissute insieme.

(Contributo editoriale a cura della Chambre de Commerce Italienne Nice, Sophia-Antipolis, Cote d'Azur)

Ultima modifica: Martedì 16 Dicembre 2025
Martedì 16 Dicembre 2025

Notizie dai mercati esteri - Giappone

Silver Power: come gli anziani giapponesi stanno rivoluzionando l'economia del Sol Levante

In un paese dove il 29,3% della popolazione ha superato i 65 anni, il termine "anziano" ha assunto un significato completamente diverso. Il Giappone non sta solo invecchiando, sta ridefinendo cosa significa essere senior nel XXI secolo, trasformando quella che molti considerano una crisi demografica in un'opportunità economica da 100 trilioni di yen all'anno. Benvenuti nel "silver market", il mercato più dinamico e sorprendente del Giappone contemporaneo.

I numeri parlano chiaro: le famiglie giapponesi non lavoratrici di anziani spendono in media 254.453 yen al mese, con un aumento dell'1,1% su base annua. Ma ciò che rende davvero speciale questo mercato non è solo il potere d'acquisto, è l'atteggiamento. Secondo tre decenni di ricerca dell'Hakuhodo Institute of Life and Living, gli individui tra i 60 e i 74 anni sono più energici, avventurosi e attivi che mai. Nonostante un'età media di 67 anni, si sentono come se ne avessero 53. Questa percezione non è solo psicologica: si traduce in scelte di consumo, viaggi, hobby e una volontà di spendere che contrasta nettamente con le generazioni più giovani, più caute e risparmiatrici.

Le aziende giapponesi hanno colto questa opportunità con creatività sorprendente. La catena Aeon, per esempio, ha già oltre una dozzina di centri commerciali che aprono alle sette del mattino, completi di palestre, librerie, caffè e corsi di ginnastica. L'obiettivo è chiaro: creare spazi dove gli anziani possano socializzare, fare esercizio e, naturalmente, fare acquisti. Il centro commerciale Aeon Kasaï a Tokyo ha persino installato una pista da passeggiata di 180 metri al coperto, permettendo agli anziani di camminare anche quando piove o nevica. I risultati? Un aumento del 10% del traffico pedonale rispetto all'anno precedente, trainato principalmente dai senior. Il grande magazzino Keio ha completamente ridisegnato i suoi spazi per clienti sopra i 50 anni, che rappresentano il 70% delle vendite, riorganizzando i reparti abbigliamento per articolo invece che per marca, facilitando la scelta per prezzo, taglia e colore.

Ma la vera rivoluzione è digitale. Contrariamente agli stereotipi, molti senior giapponesi sono tecnologicamente alfabetizzati. La piattaforma Rakuma di Rakuten ha visto un'espansione di trenta volte tra gli utenti dai 60 ai 90 anni tra il 2016 e il 2018. Oltre la metà delle persone sui sessant'anni possiede uno smartphone, e il 30% dei settantenni. Il governo e le aziende private stanno investendo massicciamente per colmare il divario digitale: il distretto di Shibuya a Tokyo ha fornito gratuitamente 3.000 smartphone agli anziani, coprendo anche i costi delle chiamate e dei dati. Fujitsu ha sviluppato il modello RakuRaku con schermi più grandi, pulsanti più chiari e operazioni semplificate. L'obiettivo non è solo tecnologico, è sociale: combattere l'isolamento, una piaga silenziosa che in Giappone ha persino un nome, kodokushi (morte solitaria).

Il settore fitness ha seguito l'esempio: il 40% dei membri di Central Sports ha oltre sessant'anni, con Renaissance al 32,5%. Gli anziani giapponesi spendono più di qualsiasi altra fascia d'età per accedere alle strutture sportive. Catene come Curves e Renaissance offrono classi specifiche focalizzate sui movimenti funzionali, palestre trasformate in centri sociali dove gli anziani trascorrono ore non solo allenandosi, ma socializzando. Persino i prodotti alimentari si sono adattati: supermercati come quelli di Aeon offrono pasti preparati meno salati e grassi, con porzioni adeguate. Il concetto di "toromi" (morbidezza) ha portato DuPont e altre aziende a sviluppare additivi per rendere i cibi più facili da deglutire, prevenendo l'aspirazione accidentale.

Il Giappone sta dimostrando che invecchiare non significa ritirarsi dall'economia, ma ridefinirla. Con una popolazione senior destinata a rappresentare un terzo del totale entro il 2035, il silver market non è un fenomeno temporaneo: è il futuro. E il mondo, che sta invecchiando rapidamente, osserva con attenzione.

Dal contante al carrello low-cost: come l'inflazione sta ridisegnando il consumatore giapponese

oncede molta autonomia ai singoli negozi". Ma non sono solo i turisti a riempire i carrelli di Donki: sempre più giapponesi frequentano i discount per risparmiare su shampoo, prodotti elettronici e beni di prima necessità.

Il panorama retail giapponese sta assistendo a una rivoluzione silenziosa. Trial Holdings, fino a poco tempo fa un discount regionale del Kyushu, ha acquisito Seiyu (ex Walmart Japan) per 380 miliardi di yen nel marzo 2025, creando un colosso con vendite annuali di 1,2 trilioni di yen e 585 negozi. Questa mossa ha mandato un segnale chiaro: l'era del discount low-cost è appena iniziata. Anche catene tradizionali come Aeon stanno riposizionandosi, offrendo prodotti meno salati e grassi a prezzi competitivi per attrarre consumatori sempre più attenti al portafoglio.

Eppure c'è un paradosso in questa storia: i lavoratori giapponesi hanno ottenuto nel 2025 l'aumento salariale più alto degli ultimi 34 anni, con una crescita media del 5,25%. Il salario minimo nazionale è salito a 1.118 yen l'ora, con aumenti record di 63 yen, e per la prima volta tutte le 47 prefetture superano i 1.000 yen l'ora. Tokyo ha raggiunto i 1.226 yen, segnando un momento storico. Ma questi aumenti salariali, pur significativi sulla carta, non riescono a tenere il passo con l'inflazione reale percepita dalle famiglie.

Le spese delle famiglie sono aumentate dell'1,8% a settembre 2025 rispetto all'anno precedente, ma la spesa reale aggiustata per l'inflazione è diminuita dello 0,4%. Gli economisti osservano che la spesa privata sta crescendo lentamente nel 2025, mentre l'inflazione sta polarizzando le abitudini: i giapponesi si concedono occasionalmente articoli di lusso, ma sono sempre più parsimoniosi sugli acquisti quotidiani. Questo comportamento "aggressivo e difensivo" insieme, come lo definisce Yuka Kondo del Hakuhodo Institute of Life and Living, sta ridefinendo il retail giapponese. Viaggi e risparmi rimangono le priorità principali, mentre per tutto il resto si va da Don Quijote.

Dopo trent'anni di deflazione, il Giappone sta imparando a convivere con l'inflazione. E la lezione principale è questa: quando i prezzi salgono, il consumatore giapponese non smette di comprare, ma compra in modo più intelligente. Benvenuti nell'era del low-cost giapponese.

(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana in Giappone)

Ultima modifica: Martedì 16 Dicembre 2025
Martedì 16 Dicembre 2025

Santa Catarina attira nuovi investimenti nei settori industria, tecnologia, agribusines

Lo Stato di Santa Catarina si distingue nel panorama economico brasiliano per gli eccellenti indici di crescita, soprattutto nei settori dell’industria, dell’agribusiness, della tecnologia, del commercio e dei servizi, oltre che nella costruzione civile.

L’industria è un punto di riferimento nel comparto della trasformazione e rappresenta circa il 27% del PIL di Santa Catarina, con particolare rilievo nei segmenti di metallurgia e plastica, ceramica e costruzioni, tessile ed abbigliamento.

Agribusiness - Santa Catarina è attualmente il maggiore produttore di carne suina del Brasile, oltre a essere un importante produttore di pollo, soia e latte. Le principali aziende brasiliane del settore alimentare e della trasformazione, Sadia e Perdigão, hanno le loro basi produttive nello Stato.

Tecnologia ed innovazione – Il settore tecnologico genera numerosi posti di lavoro qualificati e movimenta oltre 20 miliardi di reais all’anno. La città di Florianópolis è riconosciuta come la “Silicon Valley brasiliana” e ospita aziende di software e startup. Anche altre città del territorio, come Joinville, Blumenau e Chapecó, si consolidano come importanti poli di innovazione.

Energia rinnovabile – Si tratta di un settore in forte espansione nello Stato, che registra un significativo aumento degli investimenti in energia solare ed eolica, oltre all’installazione di impianti fotovoltaici residenziali e industriali.

Nelle regioni metropolitane e nelle città costiere, si osserva inoltre una crescita del settore delle costruzioni e del mercato immobiliare, aumentato di circa il 7%, spinto dal miglioramento della redditività media e dall’interesse per nuovi complessi residenziali e commerciali.

Considerando il dinamismo economico di Santa Catarina, le previsioni per il 2026 indicano che il PIL continuerà a mantenersi al di sopra della media brasiliana.

Questo contesto posiziona Santa Catarina come un punto di riferimento in materia di innovazione, qualità della vita e sostenibilità, rappresentando quindi un ambiente molto favorevole per gli investimenti delle PMI italiane in una molteplicità di settori.

(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio e Industria Italiana di Santa Catarina)

Ultima modifica: Martedì 16 Dicembre 2025
Martedì 16 Dicembre 2025

Polonia: un nuovo orizzonte per le imprese italiane dell’aerospazio

Negli ultimi decenni la Polonia si è affermata come una delle economie più dinamiche e solide d’Europa. Tra il 1990 e il 2019 ha registrato la crescita più alta dell’intera area OCSE e oggi è la sesta economia dell’Unione Europea in termini di PIL. Con un bacino annuale di quasi 300.000 laureati, un livello molto alto di conoscenza della lingua inglese e una posizione geografica che la colloca al crocevia tra Est e Ovest, il Paese è diventato un hub strategico per gli investimenti internazionali.

La sua attrattività non si limita al business: la Polonia vanta 17 siti UNESCO, città riconosciute a livello globale come Wrocław, Cracovia e Danzica, ed è segnalata da Lonely Planet tra le dieci mete da visitare. Varsavia figura nella Top 20 delle città più vegan-friendly al mondo e, secondo fDi Intelligence, è quarta tra le “European Cities of the Future 2024” per vivacità e competitività economica.

Un settore aerospaziale con oltre un secolo di storia

L’aerospazio polacco è un settore strategico con più di 100 anni di tradizione e 80 anni di produzione aeronautica. Le imprese locali sono specializzate nella progettazione e manutenzione di velivoli sportivi, agricoli e da addestramento, elicotteri, alianti e componentistica aeronautica.

Dal 2014 è attiva la Polish Space Agency (POLSA), che collega ricerca e industria e supporta l’accesso ai fondi dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Solo nel comparto spaziale, oggi operano oltre 450 aziende e istituti di ricerca, con 15.000 addetti. Sul versante aeronautico, la sola Aviation Valley di Rzeszów riunisce 193 imprese e 35.000 dipendenti, concentrando il 90% della produzione nazionale.

Le esportazioni confermano la solidità del comparto: nel 2023 la Polonia ha superato 1,7 miliardi di euro di export in “aeromobili, veicoli spaziali e parti”, con una proiezione che tocca 1,85 miliardi di euro nel 2024.

Innovazione e grandi programmi internazionali

Le aziende polacche sono ormai parte attiva delle principali commesse europee: oltre la metà delle circa 300 imprese del settore partecipa ai bandi ESA, consolidando la reputazione internazionale del Paese.

Tra i progetti più significativi troviamo la missione JUICE dell’ESA (lanciata nell’aprile 2023, con arrivo previsto su Giove nel 2031), alla quale contribuiscono diversi attori polacchi, e IGNIS, la prima missione tecnologico-scientifica polacca verso la ISS, prevista per il 2025, che condurrà esperimenti in microgravità su salute degli astronauti, microbioma, nuovi materiali e intelligenza artificiale.

Sul fronte difesa, la storica PZL Mielec ha consegnato nel marzo 2023 le prime due strutture per l’F-16 Block 70/72, rafforzando la posizione della Polonia come player centrale nelle filiere europee e regionali della sicurezza.

Ecosistema e supporto istituzionale

La competitività del settore è sostenuta da quattro cluster aerospaziali principali, che favoriscono cooperazione, innovazione e accesso a fondi UE:

  • Aviation Valley (Rzeszów), cuore pulsante con oltre 190 imprese e 35.000 addetti.
  • Silesian Aviation Cluster, che valorizza il know-how di università e imprese di Bielsko-Biała.
  • Lower Silesian Air Cluster, nato nel 2015 con il supporto della Legnicka SEZ per attrarre nuovi investimenti.
  • Wielkopolska Aerospace Cluster, che include sei grandi produttori internazionali e impiega circa 2.500 persone.

Al fianco delle imprese operano istituzioni di rilievo: la già citata POLSA, la Polish Air Navigation Services Agency e il Centro di Ricerca Spaziale dell’Accademia Polacca delle Scienze (CBK PAN), attivo in fisica e geodinamica. Inoltre, l’Istituto di Aviazione della Rete Łukasiewicz, operativo dal 1926 e partner di Boeing, GE, Airbus e Pratt & Whitney, rappresenta una delle infrastrutture di ricerca più moderne d’Europa.

Quali opportunità per le imprese italiane?

Il quadro che emerge è chiaro: la Polonia si posiziona come nuovo polo europeo dell’aerospazio, con una filiera strutturata e proiettata sui mercati internazionali. Per le aziende italiane, ciò significa la possibilità di:

  • Integrare le proprie tecnologie nelle supply chain polacche già inserite nei grandi programmi ESA e NATO.
  • Accedere a partnership industriali in cluster ad alta densità tecnologica, beneficiando di competenze ingegneristiche e manodopera qualificata a costi competitivi.
  • Sviluppare progetti congiunti in aree di frontiera come intelligenza artificiale, materiali compositi e tecnologie additive, in linea con le priorità di POLSA.
  • Rafforzare la presenza nei mercati dell’Europa centro-orientale, grazie alla posizione strategica della Polonia e al supporto della Polish Investment and Trade Agency (PAIH), che offre assistenza legale, fiscale e organizzativa, oltre a facilitare missioni B2B e accesso agli incentivi.

Un punto di incontro strategico: Italian-Polish Aerospace Forum

Accanto alla crescita del settore, negli ultimi anni la Polonia ha visto consolidarsi anche un’importante piattaforma dedicata al dialogo internazionale: l’Italian-Polish Aerospace Forum (https://forumaerospace.com/). L’evento è promosso dall’Ambasciata d’Italia a Varsavia ed è organizzato congiuntamente dall’Italian Trade Agency (ITA) – Ufficio di Varsavia e dalla Camera di Commercio e Industria Italiana in Polonia (CCIIP), con il sostegno dei principali attori industriali del settore, tra cui Leonardo in qualità di strategic partner.

Nel 2025 si è tenuta la quinta edizione, che ha riunito imprese, istituzioni, cluster tecnologici e centri di ricerca da tutta Europa, registrando una partecipazione record e un numero significativo di incontri B2B mirati. La sesta edizione, già in programma per il 2026, offrirà un format ampliato, con sessioni tecniche su AI, materiali avanzati e applicazioni satellitari, oltre a tavoli di lavoro tematici con buyer e prime contractor internazionali e uno spazio dedicato alle startup deep-tech.

Per le imprese italiane rappresenta una piattaforma concreta per presentare tecnologie, inserirsi nelle supply chain polacche già coinvolte nei programmi ESA e NATO, avviare partnership industriali e accedere a nuove opportunità nell’Europa centro-orientale. Un contesto altamente specializzato e orientato alla collaborazione, ideale per chi vuole rafforzare la propria presenza nel settore aerospaziale europeo.

Conclusioni

La Polonia si conferma un partner di primo piano per lo sviluppo dell’aerospazio europeo. La combinazione di stabilità macroeconomica, infrastrutture moderne, talenti qualificati e forte connessione con i programmi ESA e NATO crea uno scenario ideale per la cooperazione internazionale.

Per le aziende italiane della filiera aerospaziale, il Paese rappresenta non solo un mercato in espansione, ma soprattutto un hub strategico con cui costruire alleanze tecnologiche e industriali, rafforzare la competitività e accedere a nuove opportunità in Europa e oltre.

Fonte: Polish Investment & Trade Agency

(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio e dell'Industria Italiana in Polonia)

Ultima modifica: Martedì 16 Dicembre 2025