Giovedì 25 Dicembre 2025
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Il Giappone sta affrontando una significativa crisi demografica, caratterizzata da un rapido invecchiamento della popolazione e da una diminuzione della forza lavoro. Per contrastare queste sfide, il governo ha introdotto una serie di riforme volte a facilitare l'ingresso e la permanenza di lavoratori stranieri qualificati nel Paese. Queste misure rappresentano un'opportunità significativa per le aziende italiane e i professionisti interessati a operare nel mercato giapponese.
Una delle principali innovazioni è l'ampliamento del programma per lavoratori qualificati, noto come "Skilled Visa". Questa iniziativa mira ad attrarre talenti stranieri in settori chiave dell'economia giapponese, come la tecnologia, l'ingegneria e l'assistenza sanitaria. L'obiettivo è mitigare la carenza di manodopera e stimolare l'innovazione attraverso l'integrazione di competenze internazionali.
Un esempio concreto di questa apertura è rappresentato dall'estensione del visto per lavoratori qualificati al settore dei trasporti su strada. A partire da questo mese, un autista di autobus indonesiano sarà il primo a beneficiare di questa modifica, segnando un passo significativo verso l'inclusione di professionisti stranieri in ambiti precedentemente meno accessibili.
Parallelamente, il governo giapponese dall'inizio dell'anno sta implementando un sistema di pre-clearance per i viaggiatori stranieri. Questo sistema ha l'obiettivo di semplificare le procedure di immigrazione all'arrivo, rendendo più efficiente l'ingresso nel Paese per motivi di lavoro o turismo.
Tuttavia, è importante notare che, accanto a queste aperture, il Giappone ha introdotto anche misure più restrittive in materia di immigrazione. Ad esempio, sono state approvate leggi che facilitano l'espulsione dei richiedenti asilo la cui domanda è stata respinta più volte, suscitando preoccupazioni tra le organizzazioni umanitarie.
Queste riforme rappresentano una grande opportunità anche per le aziende italiane, che ora possono accedere a un mercato giapponese più aperto ai talenti stranieri, favorendo così l'espansione e la collaborazione a livello internazionale.
Di certo, queste recenti riforme dell'immigrazione in Giappone segnano un cambiamento significativo nella politica del Paese, offrendo nuove prospettive ai lavoratori stranieri e alle aziende internazionali. Tuttavia, per coloro che considerano l'opportunità di lavorare o investire in Giappone, è essenziale rimanere aggiornati sulle evoluzioni legislative e prepararsi adeguatamente per sfruttare al meglio le opportunità offerte.
Con oltre il 29% della popolazione sopra i 65 anni, il Giappone è oggi uno dei Paesi più anziani del mondo. Le implicazioni sono profonde: aumento dei costi sanitari, carenza di forza lavoro e trasformazioni nella struttura della società. Tuttavia, il Giappone sta rispondendo con creatività e pragmatismo, trasformando il problema in una piattaforma di sperimentazione tecnologica e sociale.
Il settore dell’assistenza agli anziani è il più coinvolto in questa trasformazione. La carenza di operatori sanitari ha spinto molte aziende a sviluppare robot caregiver in grado di sollevare pazienti, assistere nelle attività quotidiane e monitorare parametri vitali. Prototipi come quelli sviluppati dalla Waseda University stanno già mostrando un potenziale concreto, con modelli destinati alla produzione su scala commerciale entro il 2030. Alcuni di questi robot saranno in grado di apprendere routine personalizzate, adattandosi ai bisogni specifici degli utenti.
A fianco della robotica, emergono soluzioni più leggere ma altrettanto efficaci: sensori installati sotto i materassi per monitorare la qualità del sonno, dispositivi indossabili che segnalano movimenti anomali o aiutano nella gestione dell’incontinenza, assistenti vocali semplificati per l’uso quotidiano. Al Care Show Japan 2025 sono stati presentati anche alimenti specificamente progettati per la terza età, come carni in mousse e bevande strutturate per evitare rischi di soffocamento.
Questa "silver economy" non riguarda solo il comparto medico. Anche l’urbanistica si sta adattando: molte città stanno ripensando spazi pubblici, semafori, trasporti e segnaletica per garantire maggiore accessibilità. I centri di quartiere diventano poli multiservizio che integrano sanità, cultura, sport e socialità per mantenere attivi e autonomi gli anziani. Le abitazioni sono sempre più dotate di domotica e assistenza vocale, creando ambienti sicuri e interattivi.
Anche il mondo del lavoro sta cambiando. Molte aziende hanno introdotto programmi di "re-hiring" per pensionati attivi, con orari flessibili e formazione dedicata. Questa pratica, oltre a compensare la carenza di giovani, valorizza il know-how degli anziani e favorisce un modello di invecchiamento attivo.
Il declino demografico giapponese, pur rappresentando una delle sfide più complesse del XXI secolo, sta favorendo un ecosistema innovativo che combina tecnologia, etica e sensibilità sociale. Il Giappone, consapevole della propria traiettoria, sta sviluppando modelli che potrebbero essere adottati anche da altri Paesi con trend simili. In questo senso, l’invecchiamento non è solo un problema, ma anche un potente motore di trasformazione positiva.
La capacità di progettare con intelligenza – dalla scala dell’oggetto a quella del territorio – consente oggi al Giappone di affrontare il cambiamento demografico con strumenti concreti e culturalmente coerenti. Un esempio di come il futuro, anche quando si fa più lento e fragile, possa essere abitato con dignità, bellezza e innovazione.
(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana in Giappone)
La pubblicità giapponese ha sviluppato un'identità visiva distintiva che affascina il mondo intero, rappresentando un perfetto equilibrio tra tradizione estetica e innovazione tecnologica. Dai cartelloni tradizionali alle sofisticate campagne digitali, il design pubblicitario nipponico si distingue per un approccio radicalmente diverso da quello occidentale.
L'elemento fondamentale è il minimalismo: mentre la pubblicità occidentale spesso ricorre a messaggi densi e colori vivaci, quella giapponese privilegia layout essenziali e un uso calibrato di immagini e testo. Questa filosofia trova massima espressione nel lavoro di Kenya Hara, direttore creativo di Muji dal 2001 e autore dei fondamentali "Designing Design" e "White". Secondo Hara, il minimalismo giapponese non è solo semplice, ma anche "vuoto", come un bicchiere che non si compra per mantenerlo vuoto, ma per riempirlo di significato.
La palette cromatica giapponese predilige tonalità tenui e pastello, riflettendo una sensibilità culturale verso sobrietà ed eleganza discreta. Lo stile Japandi, fusione tra design giapponese e minimalismo scandinavo, dimostra come questa estetica stia influenzando le tendenze globali del design.
Particolarmente affascinante è l'utilizzo di simboli e narrazioni evocative. Invece di comunicare direttamente, molti annunci creano storie coinvolgenti attraverso metafore e allegorie. Le campagne Shiseido sono emblematiche: sembrano piccoli cortometraggi cinematografici. La campagna "High School Girl?" ha ottenuto riconoscimenti internazionali e milioni di visualizzazioni, vincendo il Gold Pencil al "THE ONE SHOW" e il Clio's Gold Award. Il film immerge lo spettatore in una classe di scuola superiore giapponese per poi ribaltare completamente le aspettative con un colpo di scena inaspettato.
L'evoluzione tecnologica ha aperto nuove frontiere creative. I quartieri di Shibuya e Shinjuku sono dominati da enormi display digitali che incorporano effetti tridimensionali e animazioni sofisticate. Il celebre gatto 3D gigante di Shinjuku è diventato virale grazie alla sua resa iperrealista. Con una popolazione altamente connessa, il Giappone sperimenta con influencer virtuali come Imma, che ha collaborato con brand globali come Dior e IKEA, sfidando i confini tra realtà e mondo virtuale.
Iconici sono le mascotte pubblicitarie (yuru-kyara), personaggi buffi e adorabili usati per promuovere qualsiasi prodotto. Kumamon, l'orso nero della prefettura di Kumamoto, ha generato miliardi di yen attraverso merchandising e turismo, dimostrando il potere economico di questa strategia culturalmente radicata.
La pubblicità giapponese rappresenta un ecosistema creativo unico che combina estetica raffinata, simbolismo culturale e innovazione tecnologica. Che si tratti di un cartellone monumentale a Tokyo o di un post sui social media, mantiene sempre una forte identità culturale e un approccio distintivo. L'influenza di questa filosofia si estende globalmente, ispirando creativi e brand a ripensare il rapporto tra comunicazione, estetica e coinvolgimento emotivo del pubblico.
Se c’è un luogo in Giappone dove lo shopping diventa un’avventura, quello è Don Quijote. Conosciuto affettuosamente come Donki, questo colosso del retail non è solo un discount store, ma una vera e propria istituzione culturale, dove si incontrano cultura pop, prezzi stracciati e un’irresistibile dose di caos organizzato. Tra scaffali stracolmi, corridoi strettissimi e la mascotte Donpen che osserva curioso con il suo berretto rosso, entrare in un Donki significa perdersi in un mondo imprevedibile, fatto di sorprese dietro ogni angolo.
Nato a Tokyo nel 1989 da un’idea di Takao Yasuda, Don Quijote ha rivoluzionato il concetto di negozio: non più un luogo dove soddisfare un bisogno, ma uno spazio dove lasciarsi sorprendere. Oggi conta più di 600 punti vendita in Giappone e molti all’estero, ma ha conservato intatta la sua anima anticonvenzionale.
Il segreto del suo fascino sta nella varietà smisurata dei prodotti, spesso accatastati senza un apparente ordine: dagli snack giapponesi ai cosmetici coreani, dai gadget tecnologici ai costumi cosplay, fino a oggetti improbabili come la lingerie riscaldata. Non esiste un percorso lineare: lo shopping si trasforma in esplorazione, spinto anche dalla musica in loop che accompagna i clienti lungo le corsie. E se i prezzi risultano così competitivi, è merito di una strategia d’acquisto basata su stock in eccesso e lotti fine serie, che permette di offrire vere occasioni. A completare il quadro, molti negozi sono aperti 24 ore su 24 e offrono servizi pensati per i turisti, come personale multilingue, pagamento con carte internazionali e tax-free.
Don Quijote non investe pesantemente in pubblicità tradizionale, ma punta tutto sull'esperienza in negozio e sul passaparola. Un esempio recente? La collaborazione con Bruno Mars, che ha composto un nuovo jingle per il brand e ha partecipato a una serie di spot con la mascotte Donpen, creando una campagna pubblicitaria che ha fatto il giro del mondo.
Negli ultimi anni Don Quijote ha esportato la sua formula anche fuori dal Giappone, con il nome Don Don Donki. Negozi a Singapore, Hong Kong, Taiwan, Thailandia e persino alle Hawaii reinterpretano il caos colorato giapponese adattandolo ai gusti locali. Ogni sede gode di ampia autonomia: i manager possono scegliere cosa vendere e come disporlo, rendendo ogni punto vendita unico.
Il caso Donpen: la mascotte salvata dai fan
Nel 2022, Don Quijote ha rischiato di perdere la sua amatissima mascotte, Donpen. La catena aveva annunciato la sostituzione del pinguino blu con un nuovo simbolo più “moderno”, scatenando una rivolta sui social. Nel giro di poche ore, la direzione ha dovuto fare marcia indietro, e Donpen è tornato al suo posto tra gli scaffali, a dimostrazione di quanto questo brand sappia creare un legame affettivo con il suo pubblico.
(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana in Giappone)
A partire da aprile 2025, i dipendenti del governo metropolitano di Tokyo potranno scegliere di lavorare solo 4 giorni alla settimana. Questa iniziativa, annunciata dalla governatrice Yuriko Koike, mira a migliorare l'equilibrio tra vita privata e lavoro e a sostenere chi affronta eventi di vita come la nascita di un figlio o l'assistenza familiare.
Si tratta di un cambiamento significativo per il Giappone, un Paese in cui la cultura del lavoro è storicamente legata a lunghe ore in ufficio e a un forte senso di dedizione aziendale. Ma questa mossa potrebbe anche avere un impatto più ampio, contribuendo a contrastare il calo delle nascite e influenzando il mercato del lavoro e degli immobili.
Come funzionerà la settimana lavorativa di 4 giorni?
Il nuovo sistema di lavoro si baserà su un modello flessibile. Attualmente, i dipendenti pubblici di Tokyo hanno diritto a un giorno libero ogni quattro settimane, ma con la riforma potranno prendere un giorno libero ogni settimana. Per compensare, potranno optare per giornate lavorative più lunghe, arrivando fino a 10 ore al giorno.
L'iniziativa fa parte del progetto "Women in Action", pensato per incentivare la partecipazione femminile al mondo del lavoro. È previsto anche un sistema di ferie parziali per i genitori con figli nei primi tre anni di scuola elementare, che consentirà di ridurre l'orario di lavoro fino a due ore al giorno.
Un cambiamento necessario per il Giappone
Il Giappone sta affrontando una grave crisi demografica. Nel 2023, il numero di nascite è sceso a 727.277, con un tasso di fertilità di appena 1,2 figli per donna, ben al di sotto del livello necessario per mantenere stabile la popolazione. Secondo alcuni esperti, le lunghe ore di lavoro e il difficile equilibrio tra carriera e vita familiare sono tra i motivi principali per cui molte coppie rinunciano ad avere figli.
Per cercare di invertire la tendenza, negli ultimi anni il governo giapponese ha promosso diverse iniziative, come il congedo di paternità obbligatorio per gli uomini. La settimana lavorativa di 4 giorni potrebbe essere un ulteriore passo in questa direzione, rendendo più facile per le famiglie gestire lavoro e figli.
Se il progetto avrà successo nel settore pubblico, potrebbe ispirare anche le aziende private a introdurre modelli simili. Tuttavia, in Giappone la mentalità aziendale è ancora fortemente legata all'idea che più ore in ufficio equivalgono a maggiore dedizione. Secondo un report del 2021, solo l'8% delle aziende giapponesi aveva adottato una politica di tre giorni di riposo a settimana.
Alcune grandi aziende, come Fast Retailing (Uniqlo), Panasonic e Hitachi, hanno già sperimentato la settimana corta, ma la resistenza culturale rimane forte. Inoltre, molti lavoratori temono che una riduzione dei giorni di lavoro possa tradursi in un aumento della pressione per completare le stesse attività in meno tempo.
La possibilità di lavorare un giorno in meno potrebbe influenzare anche il mercato immobiliare e cambiare la geografia demografica di Tokyo. Se sempre più persone potranno lavorare da casa o evitare di recarsi in ufficio tutti i giorni, potremmo assistere a una maggiore domanda di case più spaziose nelle aree periferiche di Tokyo, a scapito del centro della città. Allo stesso tempo, le aziende potrebbero ridurre gli spazi degli uffici o spostarsi verso modelli più flessibili, come il co-working.
A conti fatti, l'iniziativa del governo metropolitano di Tokyo è un passo importante verso un nuovo equilibrio tra lavoro e vita privata in Giappone. Se funzionerà, potrebbe non solo migliorare il benessere dei lavoratori, ma anche contribuire a risolvere problemi demografici e ridefinire il mercato del lavoro. Tuttavia, il vero cambiamento avverrà solo se il settore privato seguirà l'esempio.
Per decenni, l'immagine del salaryman giapponese è stata iconica: cravatta allentata, maniche della camicia arrotolate, birra in mano in un izakaya affollato dopo l'ennesima giornata lavorativa di dieci ore. Il nomikai (letteralmente "incontro per bere") non era semplicemente un aperitivo con i colleghi, ma un'estensione non detta dell'ufficio, dove si costruivano relazioni, si chiudevano accordi informali e si dimostrava lealtà all'azienda. Rifiutare un invito dal proprio superiore? Praticamente impensabile.
Ma oggi, questo Giappone sta cambiando. E lo sta facendo più velocemente di quanto molti immaginino.
I numeri parlano chiaro: solo il 21% dei giovani giapponesi desidera oggi rimanere nella stessa azienda fino al pensionamento. Nel 2014, appena dieci anni fa, questa percentuale era del 35%. Un crollo significativo che racconta di un cambiamento generazionale profondo. Le nuove generazioni non cercano più la sicurezza a vita in cambio di dedizione totale. Cercano invece un equilibrio, significato nel proprio lavoro, e, cosa un tempo impensabile, la possibilità di cambiare azienda per crescere professionalmente.
Questo cambiamento si riflette anche nelle ore effettivamente lavorate. Nel 2000, il lavoratore medio giapponese lavorava 1.821 ore all'anno. Nel 2022, questa cifra è scesa a 1.626 ore: una riduzione dell'11,6%. I giovani uomini ventenni, che nel 2000 lavoravano in media 46,4 ore settimanali, oggi ne lavorano 38,1. Un cambiamento epocale per un paese che ha coniato il termine karoshi, "morte per eccesso di lavoro".
Ma cosa ne è del nomikai, quel rituale post-lavoro che per generazioni ha definito la cultura aziendale giapponese? Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non sono i giovani a odiare questi raduni. Un sondaggio del 2024 ha rivelato che il 68,8% degli impiegati ventenni vorrebbe partecipare alle feste di fine anno aziendali, contro solo il 40,3% dei cinquantenni. La sorpresa? Sono proprio i manager di mezza età, spesso al vertice delle gerarchie aziendali, a essere più stanchi di queste tradizioni.
Tuttavia, il dato più interessante emerge quando si guarda oltre l'entusiasmo superficiale: tra il 60% e il 70% dei lavoratori giapponesi di tutte le età considera oggi la nominication (il termine che fonde "bere" e "comunicazione") non necessaria per il successo professionale. Le ragioni sono chiare: difficoltà a rilassarsi con i colleghi, la sensazione che sia "straordinario mascherato", il costo (spesso 4.000-5.000 yen a persona), e semplicemente il desiderio di avere tempo per sé. E c'è di più: il consumo di alcol pro capite in Giappone è calato del 25% negli ultimi trent'anni. Alcuni bar stanno persino aprendo con menu di bevande analcoliche per i nomikai, rispondendo a una domanda crescente di socializzazione senza alcol.
Questi cambiamenti non rimangono solo nella sfera dei numeri e delle statistiche, ma si traducono in azioni concrete all'interno delle aziende. Un'executive di Mitsubishi UFJ, Saiko Nanri, ha abolito i nomikai per il suo team, sostenendo che la socializzazione dopo l'orario lavorativo sia improduttiva e penalizzi soprattutto i genitori con figli piccoli, in particolare le donne lavoratrici. Un gesto che sarebbe stato impensabile solo pochi anni fa.
A spingere queste trasformazioni c'è anche un fattore economico fondamentale: la carenza di manodopera. Con un rapporto di 1,24 offerte di lavoro per ogni candidato, le aziende giapponesi stanno facendo a gara per attrarre talenti. E questo significa dover offrire ciò che i lavoratori vogliono: flessibilità, lavoro da remoto (il 75% dei lavoratori ora preferisce modalità flessibili), e rispetto della vita privata.
Per chi guarda al Giappone come partner commerciale o mercato di sbocco, questi cambiamenti sono fondamentali da comprendere. Il Giappone non è più il paese dei lavoratori instancabili disposti a sacrificare tutto per l'azienda. È un paese dove i giovani professionisti privilegiano il work-life balance (il 38% dei Gen Z lo considera più importante dello stipendio), dove il cambio di lavoro non è più un tabù, e dove le aziende devono competere per attrarre e trattenere talenti.
Questo significa che le vecchie regole stanno cambiando. Non ci si può più aspettare che i partner giapponesi siano disponibili per cene di lavoro fino a tarda notte. Non bisogna stupirsi se i giovani manager cercano di concludere gli incontri in orario d'ufficio. E, soprattutto, occorre riconoscere che dietro questi cambiamenti c'è una società che sta finalmente mettendo in discussione il prezzo umano del successo economico.
Il Giappone del futuro sarà probabilmente più simile all'Europa di quanto molti immaginino: un equilibrio tra produttività e qualità della vita, tra successo professionale e felicità personale. Questa convergenza di valori potrebbe aprire nuove opportunità di collaborazione, basate su una comprensione condivisa di cosa significhi davvero lavorare bene.
(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana in Giappone)
La Svezia si prepara a realizzare uno dei più grandi programmi di investimento infrastrutturale della sua storia recente. Trafikverket, l’Agenzia dei trasporti, ha presentato una nuova pianificazione nazionale per il periodo dal 2026 al 2037, che prevede risorse pari a 1.171 miliardi di corone svedesi. Il governo ha sottolineato che si tratta di un aumento del 27% rispetto al piano precedente e che rappresenta un passo fondamentale per modernizzare il sistema di trasporti del Paese. Circa la metà degli investimenti sarà destinata alla manutenzione della rete stradale e ferroviaria, che negli ultimi anni ha accumulato un debito significativo, mentre la parte restante finanzierà nuovi progetti di sviluppo. Attualmente più di 1.700 interventi sono già in corso sulla rete ferroviaria e Trafikverket prevede che il debito di manutenzione delle strade possa essere colmato entro il 2037, mentre quello della ferrovia richiederà più tempo, con un completamento stimato attorno al 2050.
Nel definire il piano, Trafikverket ha raccolto contributi dal mondo imprenditoriale e dalla difesa, con l’obiettivo di migliorare le condizioni per i pendolari, rafforzare la competitività delle imprese e rispondere alle esigenze della difesa totale. In questa fase sono stati eliminati una decina di progetti considerati non più redditizi, mentre ventisette interventi più efficaci sotto il profilo di costi e benefici sono stati inseriti. Tra questi figurano i lavori sulla tratta Göteborg-Alingsås e il potenziamento del ponte di Södertälje, una delle infrastrutture più trafficate del Paese, attraversata quotidianamente da circa 65.000 veicoli.
L’area di Södertälje è particolarmente rilevante dal punto di vista industriale, poiché è il terzo passaggio più trafficato del Paese. Secondo grandi aziende come Scania e AstraZeneca il potenziamento del ponte è positivo ma non sufficiente a ridurre la vulnerabilità del nodo stradale, soprattutto in vista dell’aumento del traffico previsto con il completamento della Förbifart Stockholm entro il 2045. Le aziende sostengono da tempo la necessità di un tunnel di supporto che possa garantire continuità viaria in caso di blocchi, evitando deviazioni tramite Strängnäs circa 50 chilometri più lontano. Poiché da quest’area transita una quota significativa delle esportazioni svedesi, chiedono al governo di considerare il problema come una questione di interesse nazionale e non semplicemente regionale.
Un altro elemento centrale del piano riguarda il rafforzamento delle capacità portanti delle infrastrutture, con 42 miliardi di corone svedesi destinati ad adeguare la rete stradale alla massima classe per i trasporti pesanti, fino a 74 tonnellate. Questa misura è accolta favorevolmente dall’industria e risponde anche alle esigenze logistiche della difesa nazionale. Per sfruttare appieno il potenziamento previsto, le imprese richiamano l’attenzione sulla necessità di migliorare anche le strade comunali e private, fondamentali per collegare i distretti produttivi ai porti. Il piano presentato da Trafikverket sarà ora sottoposto a consultazione e la versione definitiva dovrebbe essere approvata dal governo nella primavera del prossimo anno, delineando così le basi per lo sviluppo infrastrutturale svedese del prossimo decennio.
FONTI:
(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana per la Svezia)
Poco più di sei mesi dopo aver irrigidito le norme per il riconoscimento della cittadinanza ai figli e ai nipoti di italiani nati all’estero, il governo italiano ha annunciato una misura che favorisce in modo particolare i brasiliani. L’amministrazione della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha creato un canale esclusivo per il rilascio di visti di lavoro destinati ai discendenti di italiani, senza alcun limite di quote per nazionalità.
La nuova norma è entrata in vigore il giorno 24 e riguarda sette Paesi con una forte storia di immigrazione italiana: Brasile, Argentina, Stati Uniti, Australia, Canada, Venezuela e Uruguay. La scelta si basa sulla significativa presenza di cittadini italiani registrati nell’AIRE — l’anagrafe degli italiani residenti all’estero.
Secondo le stime dell’Ambasciata d’Italia, oltre 30 milioni di brasiliani hanno origini italiane e circa 680 mila risultano regolarmente iscritti all’AIRE.
Fino ad ora, chi richiedeva un visto di lavoro doveva rientrare nel decreto Flussi, che stabilisce annualmente il numero massimo di stranieri autorizzati a lavorare legalmente nel Paese — 151 mila posti nel 2025. Con la nuova regolamentazione, i discendenti dei Paesi selezionati non concorrono più a queste quote, a condizione che presentino un contratto di lavoro valido.
(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana di Minas Gerais)
In Germania l’offerta formativa sulla transizione energetica si sta strutturando molto rapidamente per venire incontro alle necessità delle aziende. Le università e le Fachhochschulen / universities of applied sciences (percorsi di formazione non presenti in Italia, ma rilasciano titoli equiparabili a titoli universitari per spendibilità nel mondo del lavoro) propongono master e lauree specialistiche in sistemi energetici sostenibili, energie rinnovabili e gestione dell’energia; tra le più attive figurano HAW Hamburg con il Master in Renewable Energy Systems, Università di Kassel con il Master in Sustainable Energy Systems e Università di Freiburg con il Master in Solar Energy Engineering. Un ruolo centrale è svolto dagli istituti di ricerca, in particolare la Fraunhofer Academy, che offre master part-time e corsi tecnici avanzati su solare, smart grids ed efficienza energetica, spesso in collaborazione con gli atenei. Molto rilevante anche l’impegno della deutsche Energie-Agentur (dena), che sviluppa programmi di capacity building, formazione per PMI, workshop e iniziative come il Renewable-Energy-Solutions Programme, contribuendo alla diffusione di competenze applicate sulla transizione.
Accanto agli attori pubblici, anche le grandi aziende energetiche dispongono di academy specializzate: Siemens e Siemens Energy offrono training su reti elettriche, sistemi di controllo, idrogeno e tecnologie industriali. Importante anche il ruolo delle Camere di commercio (IHK), che, grazie al network di aziende locali e non al quale hanno accesso, hanno un punto di vista privilegiato sul panorama professionale (come, per esempio, le figure professionali che occorreranno nel prossimo futuro) e propongono di conseguenza certificazioni professionali come EnergieManager (IHK) e Fachwirt für Energiewirtschaft, utili per tecnici e figure manageriali, ma anche percorsi di formazione professionale e continua.
Nonostante l’ampia offerta, mancano alcuni elementi chiave: programmi coordinati di reskilling su larga scala per tecnici e operatori, formazione avanzata su project development, corsi specifici su batterie e riciclo, oltre a competenze su cybersecurity delle infrastrutture energetiche. Sarebbe inoltre utile ampliare moduli brevi e micro-credential per rendere più accessibile e flessibile l’aggiornamento professionale.
La Germania sta puntando in modo deciso sulla transizione energetica, investendo cifre significative, anche se la strada verso la neutralità climatica resta lunga. Negli ultimi anni, gli investimenti nel settore delle energie rinnovabili hanno raggiunto livelli record: nel 2023, per esempio, sono stati circa 38 miliardi di euro, mentre per il 2024 le stime parlano di circa 32 miliardi. Gran parte di queste risorse è stata destinata al fotovoltaico, che sta crescendo molto rapidamente, ma anche all’eolico, sia onshore sia offshore, e ad altre tecnologie come la geotermia, la biomassa e il calore ambientale.
Nonostante questi sforzi, le analisi indicano che la Germania dovrà continuare a investire in modo massiccio per completare la transizione energetica. Secondo uno studio di Agora Energiewende, per rendere completamente neutrale il sistema energetico entro il 2045, servirebbero investimenti complessivi di circa 619 miliardi di euro solo per la produzione energetica, a cui si aggiungerebbero altre centinaia di miliardi per ammodernare e ampliare le reti elettriche. Inoltre, rapporti più recenti sottolineano che il ritmo attuale degli investimenti non è sufficiente per raggiungere gli obiettivi al 2030, lasciando un gap stimato di circa 600 miliardi di euro da colmare nei prossimi anni.
Gli investimenti tedeschi si distribuiscono su più fronti. In primo luogo, si concentrano sulla costruzione di nuovi impianti rinnovabili. In secondo luogo, vengono destinati all’ammodernamento e all’espansione delle reti elettriche, indispensabili per gestire la crescente variabilità della produzione da fonti rinnovabili. Infine, una parte significativa delle risorse va verso le tecnologie di sistema, come l’accumulo dell’energia, l’idrogeno, i gas carbon-neutral, le pompe di calore e altre infrastrutture essenziali per rendere il sistema energetico efficiente e affidabile.
Nonostante i grandi numeri, rimangono sfide importanti: la burocrazia, i costi infrastrutturali, l’accettazione sociale e il ritmo necessario per raggiungere gli obiettivi restano ostacoli concreti. Gli investimenti annuali dovranno continuare a rappresentare una quota consistente del PIL — circa lo 0,6‑0,7% nei momenti più intensi — per mantenere il percorso verso la neutralità climatica.
(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana per la Germania)
Lo scorso 4 novembre, il Ministro del Commercio, Ömer Bolat, durante una conferenza stampa a Istanbul dedicata alla presentazione dei dati preliminari sul commercio estero, ha reso noto che nel mese di ottobre 2025 le esportazioni turche sono ammontate a USD 24 mld, con un incremento del 2,4% rispetto allo stesso mese del 2024. Le importazioni hanno invece raggiunto USD 31,4 mld, con una crescita del 6,6% su base annua Il disavanzo commerciale della Turchia in ottobre si è pertanto assestato a USD 7,4 mld, con un aumento del 24% rispetto al mese precedente.
Nonostante il dato sul disavanzo, Bolat ha osservato che lo scorso ottobre è stato per la Turchia uno dei mesi con più alti volumi di export di sempre, contribuendo al record di USD 270,2 mld di esportazioni negli ultimi dodici mesi.
Bolat ha poi riferito che si stima che le esportazioni di servizi raggiungeranno USD 103,5 mld nel periodo gennaio-ottobre 2025, con un incremento di USD 4 mld rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. «Ci aspettiamo pertanto – ha proseguito – che le esportazioni di servizi aumentino del 5,4%, raggiungendo su base annua USD 121,2 mld nel mese di ottobre».
I dati diffusi dal Ministero del Commercio mostrano infine che la Germania si è confermata a ottobre il principale mercato di destinazione delle vendite turche, con un valore di USD 2 mld, precedendo gli Stati Uniti e il Regno Unito, che hanno acquistato merci turche per circa USD 1,4 mld ciascuno.
Per quanto riguarda le importazioni, i principali Paesi fornitori nel mese di ottobre sono stati la Cina, la Federazione Russa e la Germania.
Il costruttore automobilistico turco Tofaş ha raggiunto un nuovo accordo con Stellantis Europe S.p.A. per esportare in Nord America 230.000 unità del suo prossimo veicolo commerciale leggero “K0”, nell’ambito del piano produttivo 2024-2032.
Il veicolo “K0”, che sarà prodotto nello stabilimento Tofaş di Bursa con un investimento complessivo di circa 448,61 milioni di dollari, rappresenta un tassello centrale del nuovo piano industriale.
Il progetto “K0” rappresenta un’espansione strategica delle destinazioni di export di Tofaş, storicamente concentrate sull’Europa e sulle regioni limitrofe. L’azienda punta a diversificare il portafoglio e rafforzare la competitività entrando nel mercato nordamericano. Secondo i dati dell’Associazione degli Esportatori dell’Automotive di Uludağ, nei primi nove mesi del 2025 le esportazioni turche di veicoli commerciali hanno raggiunto 4,7 miliardi di dollari, con un +14% su base annua. Il principale mercato di sbocco è il Regno Unito, seguito dalla Germania.
In parallelo, Tofaş e Stellantis hanno deciso di prolungare la produzione della Tipo, conosciuta in Turchia come Egea, fino al 30 giugno 2026. La FIAT Egea è tra i modelli più venduti nel mercato turco.
Lo scorso 30 ottobre, ad Ankara, l’Ambasciatore d’Italia Giorgio Marrapodi e il Presidente del Consiglio della Ricerca Scientifica e Tecnologica turco (TÜBİTAK), Prof. Orhan Aydin, hanno firmato il nuovo Programma Esecutivo per la cooperazione scientifica e tecnologica 2025-2027, per il finanziamento da parte di MAECI e TÜBİTAK di 7 progetti di ricerca congiunti tra Italia e Turchia.
Il rinnovo del Programma Esecutivo mira a promuovere la collaborazione internazionale tra scienziati di università e istituti di ricerca in Italia e in Turchia, con l’obiettivo di facilitare l’accesso a nuovi ambienti di ricerca, strutture, conoscenze e competenze in ambiti quali la salute, la transizione energetica, il cambiamento climatico, la prevenzione e la mitigazione dei rischi naturali nonché la scienza e la tecnologia applicata al patrimonio culturale.
(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio e Industria Italiana in Turchia)
Stando ai dati pubblicati dal Ministero della Cultura e del Turismo lo scorso 22 settembre, nei mesi di gennaio-agosto del 2025 la Turchia ha accolto 35.481.223 visitatori stranieri, con un calo dello 0,9% rispetto allo stesso periodo del 2024.
Nei primi otto mesi del 2025, Istanbul ha registrato il 34,86% dei visitatori stranieri (12.367.851 presenze), seguita da Antalya con il 30,87% (10.951.307 presenze) ed Edirne con l’8,68% (3.078.815 presenze).
In termini di provenienza geografica, nei primi otto mesi dell’anno i turisti russi si sono collocati al primo posto con 4.554.395 presenze (12,84% del totale), seguiti dai tedeschi (4.400.592), e dagli inglesi (3.002.928).
Gli italiani che si sono recati per turismo in Turchia nei mesi di gennaio-agosto 2025 invece sono stati 548.736 (1,55% del totale), con un marcato incremento del 18,85% rispetto ai primi otto mesi del 2024.
Müberra Eresin, presidente dell’Associazione degli Albergatori Turchi (TÜROB), commentando i dati relativi ai mesi gennaio-agosto 2025, ha osservato che i flussi turistici si sono spostati, anche in Turchia, più avanti nell’anno, in parte a causa dell’incertezza economica, e che la domanda ha iniziato a crescere a partire da metà luglio. Eresin ha aggiunto che, mentre gli arrivi dal Medio Oriente sono diminuiti negli ultimi anni, i mercati europei stanno registrando una crescita significativa e i visitatori cinesi risultano in aumento.
Il Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Abdulkadir Uraloğlu, ha annunciato lo scorso 30 settembre che entro la fine dell’anno sarà pubblicato il bando di gara per il nuovo collegamento ferroviario a nord di Istanbul.
L’opera, concepita come infrastruttura strategica, prevede la realizzazione di una linea ferroviaria ad alta capacità, destinato in particolare al trasporto merci.
In merito all’opera, il Ministro Uraloğlu ha sottolineato l’importanza strategica della nuova linea ferroviaria alla luce delle recenti tensioni geopolitiche e dei cambiamenti climatici, che incidono sempre più sulle catene di approvvigionamento e sul funzionamento dei principali corridoi di trasporto internazionali.
Secondo i dati diffusi dall’Agenzia ICE di Istanbul, nei mesi di gennaio-settembre 2025 l’interscambio è stato pari a USD 21,521 mld, con un decremento del 7,2% rispetto allo stesso intervallo del 2024. In particolare, le esportazioni italiane verso la Turchia si sono contratte del 15,4% (USD 11,686 mld), mentre le importazioni sono aumentate del 4,9% attestandosi a USD 9,384 mld. La bilancia commerciale mostra un saldo positivo per l’Italia di USD 1,852 mld. Le esportazioni italiane costituiscono il 4,4% delle importazioni totali turche, mentre le esportazioni turche destinate all’Italia rappresentano il 4,9% delle esportazioni complessive della Turchia.
Nel periodo di riferimento, l’Italia si conferma al quinto posto tra i partner commerciali della Turchia, risultandone il quinto fornitore (dopo Cina, Russia, Germania e Stati Uniti) e il quarto cliente (dopo Germania, Regno Unito e Stati Uniti).
All’interno dell’Unione Europea, l’Italia si posiziona al secondo posto per volume di interscambio con la Turchia, preceduta solo dalla Germania (USD 38,825 mld) e seguita da Francia (USD 17,560 mld) e Spagna (USD 15,067 mld). Nell’area mediterranea, invece, l’Italia si conferma il primo partner commerciale di Ankara.
Tra gennaio e settembre 2025, le esportazioni italiane sono state trainate dalle vendite di “prodotti farmaceutici” (in crescita del 38,1% rispetto allo stesso periodo del 2024, per un volume complessivo pari a USD 316,3 mln) e di “combustibili minerali e oli” (+11,3%, per un volume pari a USD 272,3 mln). In calo, invece, l’export di “pietre preziose e semipreziose, metalli preziosi, perle e bigiotteria”, (-46,8% per un volume pari a USD 2,1 mld) superato dalle nostre vendite di “Macchinari e apparecchiature meccaniche” (USD 2.2 mld), prima voce merceologica del nostro export. Gli “autoveicoli, trattori, e parti di ricambio” – terza voce delle nostre vendite – hanno registrato un calo del 3,2% (USD 867,7). Si rileva inoltre una contrazione del 31,8% negli acquisti turchi di “ferro e acciaio”.
La dinamica dell’export turco mostra invece un aumento nelle voci “rame e articoli in rame” (+54,8%), “macchinari e apparecchiature meccaniche” (+14,2%) e “materie plastiche” (+12,5%). In calo gli acquisti italiani di “tessile e abbigliamento” che si sono contratti del 3,2%. Gli “autoveicoli, trattori e parti di ricambio” si confermano la principale voce tra le importazioni italiane dalla Turchia, con un valore di USD 2,140 mld e volumi diminuiti del 4,5%.
(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio e Industria Italiana in Turchia)
Houston è stata ufficialmente designata “Capitale italiana della creatività nel mondo 2026” insieme a Bangkok e Belgrado, nell’ambito della quarta edizione del premio indetto dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), in collaborazione con il Ministero della Cultura e il Ministero delle Imprese e del Made in Italy.
Il progetto vincitore presentato dal Consolato Generale d’Italia a Houston si chiama “Lots of Italy in Houston”e punta a raccontare, attraverso strumenti innovativi (un’app interattiva, programmi per le scuole, eventi diffusi in città), il contributo storico e contemporaneo degli italiani e degli italo-americani allo sviluppo culturale, scientifico, medico e tecnologico di Houston e del Texas.
“Accolgo con molta soddisfazione la scelta di Houston come capitale della creatività italiana nel mondo 2026 – commenta Vincenzo Arcobelli, rappresentante al CGIE (Consiglio Generale degli Italiani all’Estero) per la circoscrizione USA, aggiungendo – ho sostenuto e sostengo fortemente l’iniziativa del progetto voluto dal Console Generale Mauro Lorenzini. Il Sud degli Stati Uniti e in particolare il Texas, ottava economia mondiale, offrono all’Italia opportunità straordinarie in tutti i settori: energia (oil & gas e rinnovabili), aerospazio, alta tecnologia, medicina, design e, sempre più, enogastronomia di qualità”.
A marzo 2026 si svolgera’ il “Taste of Italy”, la più importante rassegna texana del cibo e vino italiano organizzata dalla Italy-America Chamber of Commerce Texas, che vedrà numerosi produttori italiani incontrare buyer e distributori americani.
Il primo quadrimestre 2026 sarà particolarmente intenso anche per la Giornata Nazionale del Made in Italy (15 aprile) e per le numerose iniziative collegate al titolo di “Capitale della creatività”.
“Con questo riconoscimento – conclude Arcobelli – non celebriamo solo l’ingegno italiano e la perfetta sinergia del Sistema Italia in Texas, ma premiamo anche l’originalità del progetto e gli eccellenti rapporti istituzionali costruiti in questi anni. Un risultato importante che proietta Houston, e l’intero Texas, al centro della promozione della creatività e dell’eccellenza italiana negli Stati Uniti per tutto il 2026".
(Contributo editoriale a cura della Italy-America Chamber of Commerce of Texas, Inc.)
Il 13 novembre 2025 gli Stati Uniti e l’Argentina hanno raggiunto un framework per un accordo su commercio e investimenti reciproci, inteso a rafforzare la cooperazione bilaterale e a promuovere l’integrazione commerciale nei settori strategici. L’intesa prevede un ampliamento dell’accesso ai mercati, con potenziale apertura per prodotti agricoli, manufatti, tecnologie e altri beni di interesse, favorendo condizioni più stabili per scambi e investimenti.
Per imprese e soggetti economici italiani e argentini (in particolare PMI e operatori del settore agroalimentare, meccanica, tecnologia) queste dinamiche aprono scenari di potenziale collaborazione. L’accordo bilaterale con gli Stati Uniti potrebbe influenzare indirettamente le rotte commerciali globali, mentre la crescita del BNPL (buy now pay later) e del commercio digitale offre strumenti innovativi per ampliare la domanda interna e facilitare transazioni in un contesto economico complesso.
Per operatori italiani interessati all’Argentina, così come per aziende argentine con ambizioni di esportazione, il contesto attuale rende ancor più importante seguire da vicino l’evoluzione normativa, le politiche macroeconomiche e le opportunità offerte dal digitale e dai nuovi strumenti finanziari/di pagamento.
(Contributo editoriale a cura della Cámara de Comercio Italiana de Rosario)