Notizie mercati esteri

Martedì 9 Settembre 2025

Disuguaglianze di reddito e ricchezza: confronto tra Canada e Italia

Negli ultimi decenni, le disuguaglianze economiche sono tornate al centro del dibattito pubblico, sia nei Paesi avanzati che in quelli in via di sviluppo. Il divario tra ricchi e poveri, in termini di reddito e di ricchezza, è cresciuto in modo significativo, con effetti assai pesanti sulla coesione sociale, sulla crescita economica e sulla stabilità democratica. Questo articolo pubblicato da Policy Options analizza questo aumento preoccupante delle disparità all’interno del Canada, facendo anche un confronto con la situazione italiana, evidenziando analogie e differenze strutturali.

Il caso canadese: una disuguaglianza crescente

Negli anni recenti, il Canada ha registrato una crescita allarmante delle disparità economiche, sia in termini di reddito che di ricchezza. Secondo l’articolo pubblicato da Policy Options, nel quarto trimestre del 2023 il 40% più ricco della popolazione canadese possedeva quasi il 65% del reddito disponibile, mentre il 40% più povero rimaneva sotto il 19%. Questo divario di 47 punti percentuali non è da sottovalutare, specialmente tenendo a conto che è aumentato di oltre un punto e mezzo in un solo anno.

Ancora più marcata è la concentrazione della ricchezza: il 20% più ricco possiede oltre due terzi della ricchezza nazionale. Il dato più eclatante è che l’1% più ricco detiene da solo il 26% della ricchezza complessiva, lasciando le briciole al resto della popolazione. Le famiglie appartenenti al quintile più alto possiedono mediamente oltre 3 milioni di dollari canadesi, mentre le famiglie più povere hanno un patrimonio medio inferiore ai 15.000 dollari, scarsi per sostenere un intero nucleo famigliare.

Questa tendenza ricade negativamente sul piano sociale: la povertà assoluta in Canada è aumentata fino al 9,9% nel 2022, e l’insicurezza alimentare ha colpito quasi un quarto della popolazione nel 2023. Nonostante la crescita economica e l’occupazione relativamente stabile, una parte sempre più ampia della popolazione non riesce a soddisfare i propri bisogni primari.

Le cause di questa disuguaglianza sono molteplici: politiche fiscali poco redistributive, un sistema assistenziale frammentato e insufficienti investimenti pubblici nei servizi essenziali. In particolare, i trasferimenti governativi, come quelli previsti per i minori o per i disoccupati, spesso non sono adatti ad affrontare l’attuale inflazione. Inoltre, persistono barriere sistemiche che colpiscono in modo sproporzionato le comunità indigene, le donne e i migranti.

Gli esperti suggeriscono una serie di riforme, tra cui il rafforzamento dei trasferimenti fiscali, la ristrutturazione del sistema di imposte sul patrimonio e l’introduzione di politiche più incisive per migliorare l’accesso all’istruzione, alla sanità e al mercato del lavoro. In sintesi, la disuguaglianza economica in Canada non è solo un fenomeno sociale, ma rappresenta una minaccia strutturale alla crescita sostenibile.

Il contesto italiano: sfide strutturali e squilibri persistenti

Anche in Italia la disuguaglianza economica rappresenta un problema grave e persistente. Sebbene i livelli di disuguaglianza di reddito siano inferiori rispetto al Canada, l’Italia presenta squilibri altrettanto critici, soprattutto in termini di ricchezza e povertà territoriale. Secondo Eurostat, il coefficiente di Gini, il quale misura le disparità economiche all’interno di un Paese, si attesta intorno a 34 punti in Italia, ben al di sopra della media europea. Ma sul fronte della ricchezza l’Italia mostra i dati più allarmanti: il 10% più ricco possiede quasi la metà della ricchezza netta totale. La componente finanziaria è ancora più concentrata, con livelli di Gini che superano lo 0,75. In sostanza, in pochi detengono le ricchezze del Paese, mentre il resto della popolazione possiede patrimoni modesti o inesistenti.

La povertà assoluta nel nostro Paese ha raggiunto il suo massimo storico nel 2023, con quasi 10% della popolazione, pari a circa 5,75 milioni di persone, che vive in condizioni di grave deprivazione materiale. Inoltre, un altro divario allarmante riguarda il Sud Italia e il centro-Nord, dato che nelle regioni meridionali si registrano tassi di povertà assoluta superiori al 12%, contro il 9-10% delle regioni del Centro-Nord. Perché’ persiste questa disparità sociale? Il mercato del lavoro italiano è segnato da scarsa produttività, salari bassi e ampia diffusione di contratti precari. Come se non bastasse, Il tasso di disoccupazione giovanile supera il 34%, e molti ragazzi, pur lavorando, rimangono in condizioni di povertà relativa. Purtroppo, l’Italia ha un sistema fiscale che tende a favorire i redditi alti e i grandi patrimoni: la tassazione su capitali, successioni e immobili è bassa, mentre quella sul lavoro è elevata, contribuendo a un effetto regressivo complessivo.

Il sistema di welfare italiano, sebbene garantisca alcune prestazioni universali, è frammentato e inefficiente. Questa situazione limita la coesione sociale e riduce il potenziale di crescita economica, aggravando le divergenze tra aree urbane e rurali, tra Nord e Sud, tra generazioni e tra gruppi sociali.

Analisi macroeconomica e implicazioni

Mettendo a confronto Canada e Italia, si evidenziano alcune somiglianze ma anche significative differenze. Entrambi i Paesi mostrano un crescente divario tra classe benestante e quella popolare, con un’alta concentrazione di ricchezza nelle mani di una piccola élite. Tuttavia, in Italia il fenomeno è reso più complesso da problemi strutturali storici, come il dualismo territoriale, la debolezza del mercato del lavoro e la fragilità del welfare. Queste disuguaglianze influenzano direttamente e negativamente la crescita del PIL.

Quando una grande fetta della popolazione ha accesso limitato a risorse e opportunità, si abbassa la domanda interna, aumentano le spese sanitarie e si deteriora la fiducia nelle istituzioni. In entrambe le nazioni, l’aumento della ricchezza finanziaria non si traduce automaticamente in investimenti produttivi, ma stimola frequentemente la speculazione e l’instabilità. Nel contesto canadese, l’introduzione di una tassa patrimoniale e il potenziamento dei trasferimenti universali sono al centro del dibattito pubblico, come l’assegno per i figli e i sussidi per le famiglie a basso reddito. In Italia, invece, la riforma fiscale è ancora in stand-by a causa di resistenze politiche e dall’assenza di una visione coerente. Malgrado varie raccomandazioni internazionali, non è stata ancora implementata una tassa sul patrimonio né sono stati risanai gli squilibri fiscali che favoriscono autonomi e grandi patrimoni.

Una delle principali debolezze italiane è la mancata coordinazione tra politiche sociali, fiscali e territoriali. In Canada, pur con i suoi limiti, esistono standard minimi garantiti in tutto il Paese grazie alla struttura federale. In Italia, invece, le politiche di assistenza sono spesso delegate a enti locali con risorse e capacità amministrative molto diverse, il che alimenta le disparità. L'assenza di un autentico sistema di redistribuzione, la mancanza di politiche strutturali per i giovani e la debolezza delle istituzioni periferiche rischiano di rendere l’Italia sempre più vulnerabile ai cicli economici negativi. Al contrario, interventi mirati e progressivi potrebbero contribuire a rafforzare la resilienza dell’economia e promuovere un modello di sviluppo più inclusivo.

Prospettive e raccomandazioni

Affrontare la disuguaglianza non significa soltanto lottare contro la povertà, ma anche favorire la stabilità e la crescita nel lungo periodo. I dati attestano chiaramente che l’attuale distribuzione di ricchezza e reddito nei due Paesi sta ostacolando lo sviluppo sociale e economico. Per il Canada, le indicazioni principali includono un rafforzamento dei programmi sociali, un ripensamento del sistema fiscale in senso progressivo e una maggiore attenzione alle disparità etniche e di genere. Per l’Italia, invece, è fondamentale:

  • • Introdurre una reale riforma fiscale progressiva, che includa una tassazione sulla ricchezza netta e aumenti l’efficienza del sistema.
  • • Potenziare i trasferimenti sociali, con misure universali e condizionate, per proteggere i gruppi più vulnerabili.
  • • Investire in istruzione, formazione e infrastrutture, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno.
  • • Promuovere un modello di welfare moderno, centrato sulla persona, integrando sanità, scuola, lavoro e assistenza.
  • • Ridurre le barriere strutturali che colpiscono i giovani, le donne e le famiglie a basso reddito nell’accesso al lavoro e ai servizi.

In sintesi, la disuguaglianza non è una fatalità, ma il frutto di precise scelte politiche. Guardando al Canada, l’Italia può trarre spunti utili, ma deve affrontare le proprie fragilità con una strategia coerente, ambiziosa e inclusiva. Solo così si potrà costruire un’economia solida, giusta ed efficiente nell’offrire opportunità reali a tutti i cittadini.

(Contenuto editoriale a cura della Italian Chamber of Commerce in Canada - West)

Ultima modifica: Martedì 9 Settembre 2025
Martedì 9 Settembre 2025

Notizie dai mercati esteri - Australia

La domanda di moda di alta gamma cresce in Australia: focus sui consumatori HNWI

Nel mese di agosto 2025 il Governo del Nuovo Galles del Sud ha presentato la prima strategia istituzionale dedicata al settore moda, la NSW Fashion Sector Strategy 2025–2028. Si tratta di un documento di portata storica, in quanto riconosce ufficialmente la moda non solo come fenomeno culturale, ma anche come comparto economico di rilievo strategico per lo Stato. Secondo i dati resi noti, il settore moda e tessile contribuisce con circa 9,7 miliardi di dollari australiani al PIL del NSW e genera esportazioni per 7,2 miliardi di dollari all’anno, corrispondenti a circa l’1,7% del totale nazionale. È inoltre un ambito fortemente caratterizzato dall’occupazione femminile: il 77% della forza lavoro del comparto è costituito da donne, a conferma della centralità sociale oltre che economica del settore. 

La strategia, articolata su sei direttrici principali, mira a rafforzare l’intera filiera. In particolare, essa prevede la creazione di un Fashion Hub a Sydney in collaborazione con l’University of Technology e il City Council, concepito come spazio di innovazione e connessione tra imprese, creativi e istituzioni; l’avvio di uno studio di fattibilità per una Smart Factory dedicata alla manifattura avanzata, che possa integrare progettazione, produzione e distribuzione; e un investimento rinnovato sull’Australian Fashion Week, che si intende valorizzare quale piattaforma internazionale di riferimento per stilisti ed operatori del settore. Parallelamente, il Governo ha annunciato nuovi programmi di sostegno all’export, volti ad accompagnare i designer emergenti nei mercati globali, con particolare attenzione agli showroom europei, e ha stanziato fondi per la formazione, la revisione delle competenze e l’inclusione dei talenti delle comunità First Nations. 

In questo contesto, le opportunità per i marchi italiani appaiono particolarmente significative. Il mercato australiano è infatti caratterizzato da una domanda crescente di beni di lusso e di artigianalità europea, alimentata da una fascia di consumatori ad alto reddito (HNWI) sempre più attenta alla qualità, all’heritage e all’esclusività. La creazione di poli come il Fashion Hub e l’implementazione di programmi di export aprono spazi concreti per una presenza strutturata del Made in Italy, sia attraverso l’inserimento in piattaforme collaborative e di incubazione, sia tramite la partecipazione diretta a fiere e manifestazioni di risonanza internazionale come l’Australian Fashion Week. 

Le iniziative legate alla Smart Factory appaiono inoltre particolarmente affini al know-how italiano in materia di manifattura di precisione, sostenibilità e innovazione tecnologica. In prospettiva, collaborazioni tra istituzioni formative australiane e scuole di moda italiane – come Polimoda, Marangoni o IED – potrebbero consolidare un ponte formativo e culturale di reciproco beneficio, contribuendo a qualificare ulteriormente la manodopera locale e, al contempo, a diffondere il modello italiano di eccellenza artigianale. 

In definitiva, la nuova strategia del NSW definisce un quadro di politiche pubbliche volto a trasformare la moda in un settore trainante dell’economia creativa australiana. Per l’Italia, essa costituisce un’occasione privilegiata di investimento e di posizionamento strategico, offrendo la possibilità di rafforzare la propria leadership culturale ed economica nel segmento del lusso e di consolidare i legami bilaterali attraverso progetti di innovazione, formazione e internazionalizzazione. 

 

Moda sostenibile: nuove opportunità per i brand italiani nel mercato australiano

Il mercato australiano della moda sostenibile è in rapida ascesa; Il comparto “green” (o slow fashion) vale attualmente circa 1,98 miliardi di AUD e si prevede cresca intorno al 7 % annuo fino al 2028. Più del 60% dei consumatori australiani oggi preferisce acquistare da brand impegnati nella sostenibilità ambientale e oltre il 41% dichiara di aver già acquistato capi “ecofriendly”. 

Il contesto favorisce i brand italiani: noti non solo per la loro artigianalità, ma anche per l’utilizzo di materiali naturali, che possono trovare spazio sia nelle boutique indipendenti che nell’ecommerce, rispondendo alla crescente domanda di trasparenza e qualità. Inoltre, i consumatori australiani mostrano interesse verso prodotti duraturi e tracciabili, perfettamente in linea con le eccellenze italiane in slow fashion.  

A livello infrastrutturale e strategico, l’industria australiana sta spingendo verso pratiche circolari: alcuni marchi adottano tessuti organici, programmi di riciclo, economie rigenerative e sharing; inoltre, nuove iniziative governative e normative promuovono la sostenibilità nelle filiere. Questo contesto facilita l’ingresso di marchi italiani che offrono moda responsabile e di alta qualità. 

I brand italiani più interessanti da valorizzare includono nomi come Manteco (tessuti riciclati), Orange Fiber (fibre da sottoprodotti agrumi), Brunello Cucinelli, Etro, oltre ad altri emergenti del Made in Italy sostenibile. Questi esempi dimostrano come l’eccellenza estetica possa sposarsi alla sostenibilità. 

Per i consumatori australiani, dove il costo della vita spinge molti verso il second hand, l’offerta italiana può rappresentare in questo senso una risposta di valore e durata, a fronte dell’omologazione sempre più marcata del fast fashion. 

 

(Contributo editoriale a cura della Italian Chamber of Commerce and Industry in Australia inc.)

Ultima modifica: Martedì 9 Settembre 2025
Martedì 9 Settembre 2025

Notizie dai mercati esteri - Brasile

Il Brasile, motore trainante dell’Investimento Diretto Estero in America Latina

Nel 2024, i flussi di Investimento Diretto Estero (IDE) in America Latina e nei Caraibi sono aumentati del 7,1%, raggiungendo complessivamente 188,962 miliardi di dollari . Sebbene il tasso di IDE nella formazione lorda di capitale fisso (13,7%) e nel rapporto col PIL (2,8%) resti sotto i livelli della scorsa decade (rispettivamente 16,8% e 3,3%), il trend è positivo.

Il Brasile emerge come primo destinatario regionale, con un incremento di IDE pari al +13,8%, rappresentando il 38% del totale regionale. Segue il Messico con +47,9% e una quota del 24%. Decisivo è stato il ruolo del Brasile nel sostenere la ripresa degli investimenti nella regione.

L’analisi di settore rivela un aumento degli investimenti nella manifattura (43,6%), mentre i servizi si attengono al 40,4%; le risorse naturali, invece, rappresentano il 16% del totale. La crescita è trainata principalmente da multinazionali già presenti sul territorio, tramite reinvestimento degli utili; al contrario, i nuovi ingressi di capitale rimangono stagnanti.

Nel contesto dei minerali critici per la transizione energetica, la CEPAL evidenzia che tra il 2005 e il 2024 sono stati annunciati 1.152 progetti per un valore complessivo di 230 miliardi di dollari, di cui l’84% riguarda Cile, Perù, Brasile e Argentina. Solo il 24% dei progetti attiene a minerali chiave, ma ne rappresenta il 42% del valore complessivo. Canada, Regno Unito, Cina e Australia sono tra i maggiori investitori.

Tuttavia, la regione stenta a tradurre le sue risorse in valore aggiunto: il 62% delle esportazioni di minerali critici rimane grezzo o minimally raffinato. La CEPAL sottolinea l’urgenza di rafforzare capacità tecniche, operative, politiche e prospettiche (TOPP) per favorire una governance più strategica del settore.

Infine, la trasformazione digitale rappresenta una sfida e un’opportunità: nonostante i progressi, solo il 7% dell’IDE globale legato alla digitalizzazione arriva nella regione. Messico e Brasile raccolgono rispettivamente il 32% e il 29% degli annunci di progetti tra il 2005 e il 2024; se si considerano anche Argentina, Cile e Colombia, si arriva oltre l’80% del totale regionale.

 Il settore delle comunicazioni assorbe la maggiore parte degli investimenti, cruciale per infrastrutture quali data center e reti ad alta velocità, mentre software e servizi IT, pur numericamente predominanti nei progetti, rappresentano una fonte chiave di occupazione qualificata.

Articolo scritto sulla base dei dati CEPAL 2025

Porti del Nordest brasiliano in volo: minerale, petrolio e soia spingono la ripresa nel primo semestre

Nel primo semestre del 2025, i porti della regione Nordest del Brasile hanno raggiunto una performance sorprendente: ben 150,5 milioni di tonnellate di merci movimentate, superando di 1,2 milioni di tonnellate il risultato del medesimo periodo dell’anno precedente . Un dato che traduce in crescita, sviluppo e una netta accelerazione per le dinamiche economiche dell’intera regione.

Il Terminal Marítimo di Ponta da Madeira, nel Maranhão, si conferma il pivot dell’attività portuale, con 75,2 milioni di tonnellate movimentate, dominando per volumi la scena regionale. Non da meno il Porto di Itaqui, sempre nello Stato del Maranhão, che ha veicolato 17,2 milioni di tonnellate, con una composizione rilevante di combustibili e cereali

A Pernambuco, il Complesso Industriale Portuale di Suape – crocevia strategico per l’export automobilistico – ha totalizzato 10,9 milioni di tonnellate, esportando 37.668 veicoli solo nel primo semestre . In Bahia, il Terminal Aquaviário di Madre de Deus, specializzato in derivati petroliferi, ha raggiunto 9,9 milioni di tonnellate, mentre il Porto di Pecém, in Ceará, ha movimentato 9,5 milioni di tonnellate di merci varie.

Questi numeri raccontano un quadro articolato: il minerale ferroso dal Maranhão, il petrolio in uscita dalla Bahia, i veicoli in partenza da Suape, e i fertilizzanti e cereali da Pecém. Una sinergia logistica che incarna l’integrazione profonda tra la regione portuale e le catene produttive nazionali.

I dati non sono mera statistica, ma traduzione concreta in occupazione, entrate e dinamismo delle filiere produttive locali. Il Maranhão, ad esempio, ha visto crescere il suo PIL del 1,9% nel primo trimestre del 2025, un risultato superiore alla media nazionale, risultato attribuito per larga parte alla performance dei porti.

È evidente come il settore agrario, la miniera e l’energia – settori chiave ancora più fondamentali per l’economia nordestina – dipendano in maniera cruciale da un sistema portuale efficiente: consente di ridurre i costi logistici, espandere la propria competitività e rafforzare la presenza sul commercio estero e sul mercato interno .

I porti del Nordest si confermano quindi pilastri strategici della logistica brasiliana, con impatti che travalicano i confini regionali: rappresentano il crocevia essenziale tra l’economia brasiliana e i principali flussi commerciali globali. Questa robusta performance semestrale suggella la centralità del Nordest nel disegno macroeconomico del Paese.

In conclusione, il Nordest brasiliano, forte dei suoi terminali portuali, si pone oggi come motore di crescita integrata, una cornice in cui infrastrutture, produzione e commercio estero dialogano in sinergia, disegnando uno scenario di sviluppo sostenuto e orientato al futuro.

Nel primo semestre del 2025, i porti della regione Nordest del Brasile hanno raggiunto una performance sorprendente: ben 150,5 milioni di tonnellate di merci movimentate, superando di 1,2 milioni di tonnellate il risultato del medesimo periodo dell’anno precedente . Un dato che traduce in crescita, sviluppo e una netta accelerazione per le dinamiche economiche dell’intera regione.

Il Terminal Marítimo di Ponta da Madeira, nel Maranhão, si conferma il pivot dell’attività portuale, con 75,2 milioni di tonnellate movimentate, dominando per volumi la scena regionale. Non da meno il Porto di Itaqui, sempre nello Stato del Maranhão, che ha veicolato 17,2 milioni di tonnellate, con una composizione rilevante di combustibili e cereali

A Pernambuco, il Complesso Industriale Portuale di Suape – crocevia strategico per l’export automobilistico – ha totalizzato 10,9 milioni di tonnellate, esportando 37.668 veicoli solo nel primo semestre . In Bahia, il Terminal Aquaviário di Madre de Deus, specializzato in derivati petroliferi, ha raggiunto 9,9 milioni di tonnellate, mentre il Porto di Pecém, in Ceará, ha movimentato 9,5 milioni di tonnellate di merci varie.

Questi numeri raccontano un quadro articolato: il minerale ferroso dal Maranhão, il petrolio in uscita dalla Bahia, i veicoli in partenza da Suape, e i fertilizzanti e cereali da Pecém. Una sinergia logistica che incarna l’integrazione profonda tra la regione portuale e le catene produttive nazionali.

I dati non sono mera statistica, ma traduzione concreta in occupazione, entrate e dinamismo delle filiere produttive locali. Il Maranhão, ad esempio, ha visto crescere il suo PIL del 1,9% nel primo trimestre del 2025, un risultato superiore alla media nazionale, risultato attribuito per larga parte alla performance dei porti.

È evidente come il settore agrario, la miniera e l’energia – settori chiave ancora più fondamentali per l’economia nordestina – dipendano in maniera cruciale da un sistema portuale efficiente: consente di ridurre i costi logistici, espandere la propria competitività e rafforzare la presenza sul commercio estero e sul mercato interno .

I porti del Nordest si confermano quindi pilastri strategici della logistica brasiliana, con impatti che travalicano i confini regionali: rappresentano il crocevia essenziale tra l’economia brasiliana e i principali flussi commerciali globali. Questa robusta performance semestrale suggella la centralità del Nordest nel disegno macroeconomico del Paese.

In conclusione, il Nordest brasiliano, forte dei suoi terminali portuali, si pone oggi come motore di crescita integrata, una cornice in cui infrastrutture, produzione e commercio estero dialogano in sinergia, disegnando uno scenario di sviluppo sostenuto e orientato al futuro.

Informazioni da Agência Brasil

 

(Contenuto editoriale a cura della Camera Italo-Brasiliana di Commercio e Industria di Rio de Janeiro)

Ultima modifica: Martedì 9 Settembre 2025
Martedì 9 Settembre 2025

Contesto e panorama dell’immigrazione economica in Canada

Negli ultimi anni, l’immigrazione economica ha rappresentato una leva cruciale per lo sviluppo economico e demografico del Canada. Nel solo 2021, il Paese ha accolto oltre 435.000 nuovi immigrati, di cui più della metà rientrava nella categoria “economic immigrants”, ovvero persone selezionate per le loro competenze professionali e livello di istruzione. Questa tipologia di immigrazione ha un impatto diretto sul PIL, sull’innovazione e sulla sostenibilità del sistema pensionistico canadese, in particolare in un contesto di invecchiamento della popolazione nativa. Il Canada, senza questi flussi, rischierebbe un calo demografico e un rallentamento della crescita.

All’interno di questo quadro, anche gli italiani – seppur in numeri contenuti rispetto al passato – continuano a migrare verso il Canada, attratti da opportunità lavorative e di studio. Secondo i dati più recenti, circa 12.000 italiani si sono stabiliti in Canada negli ultimi 13 anni. Nella provincia della British Columbia, una delle destinazioni più dinamiche e multiculturali del Paese, gli immigrati rappresentano quasi il 30% della popolazione. La comunità italiana, radicata già dal XX secolo, oggi è composta da professionisti, imprenditori e studenti che contribuiscono attivamente al tessuto economico e sociale della regione.

La British Columbia, con un PIL che supera i 350 miliardi di dollari canadesi, trae grandi benefici da questi flussi: il sistema produttivo si rafforza grazie all’arrivo di lavoratori qualificati in settori come tecnologia, sanità e formazione. Inoltre, gli immigrati in BC mostrano tassi di imprenditorialità superiori alla media nazionale, contribuendo a creare nuove aziende e posti di lavoro.

Anche per l’Italia, questi scambi migratori rappresentano una duplice opportunità: da un lato si apre un canale per l’internazionalizzazione dei giovani talenti e delle competenze, dall’altro si rafforzano le relazioni economiche e culturali tra i due Paesi. Tuttavia, l’Italia deve affrontare il rischio del brain drain, cioè la perdita di capitale umano qualificato, a meno che non riesca a incentivare programmi di rientro o collaborazioni con le comunità italiane all’estero.

(Contenuto editoriale a cura della Italian Chamber of Commerce in Canada - West)

Ultima modifica: Martedì 9 Settembre 2025
Martedì 9 Settembre 2025

Italia–Canada: la minaccia dei dazi doganali al cuore dell’automotive italiano

Il Canada ha introdotto dazi del 25% sui veicoli importati al di fuori dell’area CUSMA, colpendo indirettamente anche l’Italia. Marchi come Alfa Romeo, Maserati, Brembo e Pirelli rischiano forti perdite: i costi di vendita aumenteranno, rendendo i prodotti italiani meno competitivi. La produzione nazionale, già in calo, potrebbe subire ulteriori riduzioni. Le aziende italiane dovranno reagire rapidamente attraverso certificazioni CETA, delocalizzazioni o strategie di branding. Il rischio è perdere quote in un mercato chiave come quello nordamericano, compromettendo occupazione e fatturato.

(Contenuto editoriale a cura della Italian Chamber of Commerce in Canada - West)

Ultima modifica: Martedì 9 Settembre 2025
Martedì 9 Settembre 2025

Notizie dai mercati esteri - Brasile

Le esportazioni brasiliane sono cresciute del 4,8% a luglio

Finora quest'anno sono stati esportati prodotti per un valore di 198 miliardi di R$

Le esportazioni brasiliane sono cresciute del 4,8% a luglio, in termini di valore, rispetto a luglio 2024. Da inizio anno, sono stati esportati prodotti nazionali per un valore di 198 miliardi di R$. Secondo il governo federale, l'aumento è stato significativo grazie agli scambi commerciali con Stati Uniti, Messico, Argentina, Unione Europea e Giappone.

In termini di volumi, la crescita delle esportazioni è stata ancora maggiore: 7,2%, sempre rispetto a luglio dell'anno scorso, secondo i dati della bilancia commerciale pubblicati dal Ministero dello Sviluppo, dell'Industria, del Commercio e dei Servizi (MDIC).

“Il mese scorso, il Brasile ha esportato 32,31 miliardi di dollari. Da inizio anno, fino a luglio, le esportazioni brasiliane ammontano a 198 miliardi di dollari, con una crescita dello 0,1% in valore e del 2% in volume rispetto allo stesso periodo del 2024. Per l'anno, i flussi commerciali ammontano a 359 miliardi di dollari, con un surplus di 37 miliardi di dollari”, ha spiegato il Ministero.

Destinazioni

La crescita delle esportazioni ha interessato “diverse destinazioni”. In termini percentuali, la destinazione che ha registrato la crescita più elevata in termini di volume, confrontando luglio 2025 e luglio 2024, è stata l’Argentina (42,4%).

Nel caso del Messico, le esportazioni sono aumentate del 17,2%. Le esportazioni verso l’Unione Europea sono cresciute del 7,4%, sulla base dello stesso confronto, in termini di volume. Per il Giappone, l’aumento è stato del 7,3%, mentre per gli Stati Uniti è stato del 5%.

Prodotti

Carne bovina, petrolio greggio, minerali di rame e caffè non tostato sono tra i prodotti che hanno registrato la maggiore crescita nelle vendite mensili.

“L’industria manifatturiera (che trasforma una materia prima in un prodotto finale o in un prodotto intermedio destinato a un’altra industria manifatturiera, come ad esempio la cellulosa trasformata in carta) è stato il settore che ha avuto la maggiore crescita in valore (7,4%), seguito dall’industria estrattiva (3,6%) e dall’agricoltura (0,3%)”, ha spiegato il MDIC.

Importazioni

Anche nel confronto mensile, le importazioni brasiliane sono aumentate dell’8,4% in termini di valore. Di conseguenza, luglio si è chiuso a 25,2 miliardi di dollari, con punte di crescita per i beni strumentali (13,4%), i beni intermedi (10,8%) e i beni di consumo (5,1%).

“Quest’anno le importazioni sono aumentate dell’8,3% in valore e del 9,7% in volume, per un totale di 161 miliardi di dollari fino a luglio”, ha riferito il ministero.

 

Fonte: Agência Brasil | di Pedro Pedruzzi, pubblicato il 07/08/2025

 

Secondo una ricerca, la bioeconomia potrebbe generare 137 miliardi di dollari all’anno per l’economia brasiliana entro il 2032

Entro il 2032, la bioeconomia della conoscenza potrebbe generare tra 98 e 137 miliardi di dollari all’anno per l’economia brasiliana, se il Paese riuscirà a sviluppare la ricerca e l’innovazione e a creare nuovi mercati per i prodotti e i servizi che emergeranno. Il rapporto “Il Potenziale del Brasile nella Bioeconomia della Conoscenza”, elaborato dall’organizzazione imprenditoriale International Chamber of Commerce Brazil (ICC Brazil) e dalle società di consulenza Systemiq ed Emerge, indica percorsi futuri in cinque settori: alimentare, dei materiali, agroalimentare, farmaceutico e cosmetico.

Lo studio ha coinvolto oltre cento stakeholder strategici, intervistato 57 esperti e analizzato oltre 150 documenti tecnici. È stato presentato il 6 agosto alla Settimana del Clima di San Paolo. La produzione di energia è stata esclusa, secondo gli autori, perché è già stata ampiamente studiata in altri studi.

Nel rapporto, la bioeconomia della conoscenza è definita come la ricerca di risorse biologiche rinnovabili per produrre beni, servizi ed energia in modo sostenibile e con un elevato valore aggiunto.

Pertanto, l’obiettivo è stimare non solo l’offerta, ma anche la domanda che potrebbe essere generata e il reddito aggiunto all’economia brasiliana se il Paese diventasse davvero un importante produttore di “economia verde”. Un altro punto è quello di costruire conoscenza attraverso pratiche sostenibili che rispettino i saperi tradizionali delle comunità di tutti i biomi brasiliani.

Stiamo pensando a come integrare le comunità locali qui, a come creare valore in queste località. E a come trasformare tutto questo in un asset competitivo, potenzialmente destinato all’esportazione”, spiega Gabriella Dorlhiac, direttrice esecutiva di ICC Brasile.

Si stima che saranno necessari investimenti per 15,7 miliardi di dollari nel periodo considerato per trasformare questo potenziale in realtà, con risorse provenienti sia dai governi, attraverso istituzioni di sviluppo e investimenti diretti, sia dalle aziende, attraverso la ricerca e l’innovazione.

I governi federali, statali e municipali dovrebbero inoltre creare un ambiente normativo e condizioni di fiducia tali da consentire al capitale di fluire realmente nella bioeconomia.

Entrambi hanno responsabilità complementari: il governo garantisce condizioni sistemiche e il settore privato apporta scala, innovazione e capacità di mercato”, riassume Felipe Faria, direttore di Systemiq.

Il rapporto prende in considerazione sei attori chiave per il successo, in una “sestupla elica”: governo, aziende, istituti scientifici e tecnologici, società civile (comprese le comunità tradizionali, che devono essere rispettate e remunerate per le loro conoscenze), investitori e la natura stessa, quest’ultima con parametri che riflettono il valore ecologico e orientano gli investimenti e le politiche pubbliche.

Il coordinamento tra governo, industria, mondo accademico e comunità, descritto come una ‘elica espansa’, aiuta a distribuire i rischi e ad accelerare l’arrivo dei prodotti sul mercato”, spiega Faria a proposito dell’unione tra i sei partecipanti.

Settori

Il primo passo è condurre ricerche per comprendere il potenziale biologico. Il rapporto stima che il Brasile disponga di informazioni sufficienti solo sul 30% della sua fauna e flora (esclusi gli uccelli), solo sul 19% delle cellule marine e meno dell’1% dei microrganismi e del loro potenziale.

Non abbiamo idea della ricchezza della biodiversità brasiliana o del potenziale che può essere sviluppato da essa. Stiamo valutando come creare un ampio archivio, che comprenda sia la ricerca che le conoscenze tradizionali, mappandolo per creare una grande biblioteca per il settore privato e il mondo accademico, consentendo loro di creare nuovi fronti di ricerca, nuovi prodotti e nuove catene di approvvigionamento”, afferma Dorlhiac.

Lo studio ha fornito stime specifiche per ciascuno dei cinque settori analizzati. Vedi sotto.

Alimentare - Potrebbe generare tra i 40 e i 50 miliardi di dollari entro il 2032; soluzioni di bioeconomia basate sulla conoscenza, come la fermentazione di precisione e la rivalutazione degli scarti agroalimentari, potrebbero favorire la sostituzione degli ingredienti sintetici, nonché la creazione di ingredienti funzionali e alimenti con un valore nutrizionale più elevato;

Materiali - Si prevede che entro il 2032 genererà dai 20 ai 30 miliardi di dollari all’anno, con innovazioni nelle bioplastiche, negli imballaggi compostabili e nel legno ingegnerizzato, oltre all’abbondanza di biomassa;

Agroalimentare e salute animale - un settore che beneficia già delle importanti ricerche da parte di aziende come Embrapa - Impresa Brasiliana per la Ricerca Agricola e di Allevamento, potrebbe generare tra 18 e 25 miliardi di dollari in più all’anno entro il 2032, attraverso la creazione di alternative che riducono la dipendenza dagli input chimici e aumentano la resilienza produttiva;

Salute - Potrebbe generare tra 12 e 20 miliardi di dollari all’anno entro il 2032 se si trovassero soluzioni come la bioprospezione di piante medicinali, microrganismi ed enzimi per soluzioni terapeutiche globali e la ripresa della produzione locale di principi attivi farmaceutici (API) essenziali, riducendo le vulnerabilità esterne;

Cosmetici - Il Brasile può posizionarsi come fornitore globale di prodotti bioattivi e cosmetici sostenibili, generando tra gli 8 e i 12 miliardi di dollari all’anno entro il 2032. Il settore ha già una forte capacità di convertire la ricerca in innovazione commerciale.

Valli della morte

Il rapporto definisce il concetto di “valli della morte”, ovvero i tre momenti più difficili affinché le innovazioni biotecnologiche basate sulla conoscenza diventino prodotti economicamente sostenibili e assumano una presenza su larga scala nella vita delle persone.

  1. La prima è la valle della morte della conoscenza, che si verifica dopo che un concetto di base è stato approvato in laboratorio; a quel punto è necessario un prototipo funzionale, con una produzione sostenibile, il che richiede un grande investimento nella ricerca.
  2. La seconda è la valle della morte della scalabilità, quando le innovazioni non trovano infrastrutture adeguate per essere prodotte su larga scala. Secondo i dati, questa è la fase più “mortale” per le aziende brasiliane.
  3. Quest’ultima è la valle della morte della commercializzazione, dove barriere normative, finanziarie e legate alla domanda impediscono a un’invenzione promettente di conquistare un posto di rilievo tra i consumatori.

Le azioni consigliate per contribuire a creare domanda includono il supporto ai produttori nell’adattamento agli standard internazionali, l’investimento in narrazione e marketing per differenziare i prodotti brasiliani, l’integrazione della bioeconomia negli accordi commerciali e nelle politiche di appalti pubblici e l'incoraggiamento di partnership tra cooperative e grandi marchi, garantendo volume, qualità e tracciabilità.

Raccomandazioni

Tra le raccomandazioni rivolte al Paese per sfruttare appieno il potenziale della bioeconomia ci sono il rafforzamento della base scientifica, l’espansione della mappatura genetica di dieci volte nei prossimi dieci anni; il consolidamento dell’ecosistema dell’innovazione, l’aumento di 20 volte entro il 2032 del numero di startup tecnologiche nella bioeconomia e la creazione di condizioni di mercato favorevoli; rafforzare la normativa, uniformando l’applicazione della Legge sulla biodiversità con guide e protocolli e creando una tassonomia e, infine, creare un’architettura finanziaria integrata.

Da parte del governo è necessario prestare attenzione al quadro normativo per garantire che le leggi sulla proprietà intellettuale siano rispettate e che la comunità tradizionale sia ascoltata, compensata e apportatrice di benefici.

Un altro punto chiave è garantire che gli appalti pubblici contribuiscano a creare domanda per i prodotti sviluppati. Infine, è anche necessario garantire infrastrutture e formazione per tutti coloro che lavorano con i prodotti.

Quando si parla di infrastrutture, è importante comprendere che ogni settore avrà esigenze diverse, senza soluzioni universali. “Ma esiste un punto di partenza comune: prima di qualsiasi investimento in infrastrutture o nella progettazione finanziaria, dobbiamo sviluppare prodotti e comprendere l’entità della domanda. Senza questo, il rischio di creare strutture sottoutilizzate o non allineate alla realtà del mercato è elevato”, spiega Daniel Pimentel, co-fondatore e direttore di Emerge.

Ora, ciò di cui abbiamo bisogno è un migliore equilibrio, non solo in termini di quali settori della bioeconomia vengono sviluppati, ma anche affinché diventi un’attività regionale, con tutti i biomi del Brasile che vedono il loro potenziale trasformato in realtà”, prevede Dorlhiac, di ICC Brasile, per il futuro.

 

Fonte: MSN | Estadão

(Contenuto editoriale a cura della Câmara de Comércio Italiana de São Paulo - ITALCAM)

Ultima modifica: Martedì 9 Settembre 2025
Martedì 9 Settembre 2025

Notizie dai mercati esteri - Australia

Crescita del settore delle energie rinnovabili in Australia: opportunità per la filiera italiana

L’Australia si conferma uno dei mercati più promettenti al mondo per le energie rinnovabili, grazie a condizioni naturali uniche e a un quadro politico favorevole agli investimenti sostenibili. Il Paese detiene il primato mondiale per radiazione solare media, con vaste aree, in particolare nelle regioni desertiche nord-occidentali e centrali, ideali per impianti fotovoltaici e solari termici di larga scala. Circa un terzo delle abitazioni è già dotato di sistemi solari sul tetto, il tasso più alto a livello globale. 

Oltre al solare, l’Australia dispone di risorse eoliche di rilievo, soprattutto lungo le coste, con velocità medie del vento superiori a 9-12 m/s. La crescita del settore è sostenuta da politiche nazionali come il Renewable Energy Target e da programmi statali che promuovono la realizzazione di impianti fotovoltaici e solari termici su larga scala. Le iniziative pubbliche si concentrano su ricerca, sviluppo e incentivi per attrarre investitori, stimolando la diffusione di tecnologie innovative e la collaborazione con partner internazionali.  

Un ruolo fondamentale è svolto anche dalle piattaforme di mappatura e analisi delle risorse, come l’Australian Renewable Energy Mapping Infrastructure (AREMI), che offre dati aperti e geospaziali per sviluppatori, investitori e decisori politici. Questi strumenti permettono di individuare le aree più idonee per lo sviluppo di nuovi progetti, migliorando l’efficienza nella pianificazione e riducendo i costi di implementazione. 

Particolare attenzione è rivolta anche all’idrogeno verde, settore in cui l’Australia mira a posizionarsi come esportatore globale, grazie alla disponibilità di energia rinnovabile a basso costo e a un solido piano di infrastrutture per la produzione e la distribuzione. Le aziende italiane attive nelle tecnologie per l’elettrolisi, nello stoccaggio e nel trasporto di idrogeno possono trovare interessanti opportunità di collaborazione e fornitura. 

Questa dinamica apre ampie prospettive di collaborazione per le imprese italiane attive nella produzione di componentistica, nell’ingegneria, nel project management e nei servizi per le energie rinnovabili. Stati come il New South Wales e il South Australia offrono incentivi mirati per attrarre fornitori e partner tecnologici internazionali, creando un contesto ideale per sviluppare progetti congiunti e rafforzare la presenza della filiera italiana nel mercato australiano della transizione energetica. 

 

Sistema sanitario australiano: spazio per tecnologie italiane e dispositivi medici

L'Australia è uno dei mercati più promettenti al mondo per i dispositivi medici, con una crescente domanda di tecnologie diagnostiche, chirurgiche e biomedicali.

Il sistema sanitario australiano, sia pubblico che privato, è in continua espansione e modernizzazione; questo crea ampie opportunità per le aziende italiane, rinomate per la qualità e l'innovazione dei loro prodotti. Le imprese italiane possono entrare nel mercato australiano tramite distributori locali o partecipando a gare pubbliche per l’approvvigionamento sanitario, in particolare nel settore della diagnostica avanzata e dei dispositivi chirurgici minimamente invasivi.

Il processo di registrazione presso la Therapeutic Goods Administration (TGA) è un passaggio fondamentale per l'ingresso nel mercato. Sebbene l'Australia adotti standard internazionali, l’iter di registrazione può risultare complesso e richiede prove di sicurezza ed efficacia, nonché un monitoraggio post-commercializzazione piuttosto rigoroso.

Le principali barriere riguardano non solo la conformità agli standard internazionali e una complessa documentazione, ma anche la classificazione del dispositivo in base al rischio per il paziente, costi e tempi di approvazione che tendono ad essere piuttosto lunghi e monitoraggio post-commercializzazione. Per le aziende italiane, è importante affrontare questi adempimenti normativi per garantirsi l'accesso alle opportunità di mercato, che includono anche la crescente domanda di soluzioni in ambito IoT e telemedicina.

Il contesto sanitario australiano, sempre più orientato verso l'adozione di tecnologie innovative, rappresenta una solida opportunità per le aziende italiane che desiderano espandere la loro presenza a livello internazionale n quanto l'orientamento verso l'innovazione rende l'Australia un partner ideale per progetti di collaborazione nel settore dei dispositivi medici.

(Contributo editoriale a cura della Italian Chamber of Commerce and Industry in Australia inc.)

Ultima modifica: Martedì 9 Settembre 2025
Martedì 9 Settembre 2025

Notizie dai mercati esteri - Brasile

Belém 2025: COP30 in bilico tra sfida climatica e ostacoli logistici

L’evento più atteso dell’anno sul cambiamento climatico – la COP30, in programma a Belém dal 10 al 21 novembre 2025 – si presenta come un punto di svolta cruciale per trasformare impegni globali in azione concreta. Il presidente designato della conferenza, l’ambasciatore André Aranha Corrêa do Lago, ha lanciato un messaggio chiaro: Belém resta la sede, e il suo svolgimento in Amazzonia conferisce un valore simbolico e geopolitico unico all’agenda climatica globale.

Nella sua visione editoriale, Corrêa do Lago ha delineato la necessità di passare dalla “visione all’azione”: la COP30 dovrà mettere in pratica ciò che è stato negoziato, dando impulso a un’implementazione rapida del Global Stocktake (GST) del Patto di Parigi. Il cuore dell’azione è riassunto in una carta con 30 ambizioni concrete distribuite su sei assi strategici, che chiamano non solo i governi nazionali ma anche aziende, città, regioni, università, società civile e comunità indigene ad agire.

La dimensione inclusiva è stata sottolineata anche dalla ministra Marina Silva, promotrice del Balanço Ético Global, un ciclo di dialoghi regionali condotti in tutte le parti del mondo per raccogliere contributi da leader indigene, giovani, donne, economisti e attivisti. Il primo incontro si è svolto a Londra e ha coinvolto circa 40 partecipanti, con l’obiettivo di integrare l’etica nel processo negoziale.

Ma il contesto logistico rappresenta una sfida non da poco. Delegazioni da paesi a basso reddito, piccole isole e Stati africani denunciano costi di alloggio fino a 10‑15 volte superiori a quelli normali, con tariffe potenziali tra 2000 USD a notte in alcuni casi estremi. In risposta, il governo brasiliano ha chiarito che non esiste un "piano B": la COP si terrà interamente a Belém, e saranno messe a disposizione soluzioni residenziali tra i 100 e i 600 USD, riservate innanzitutto alle delegazioni più vulnerabili.

Il piano logistico prevede la mobilitazione di circa 2.500 camere riservate (15 per delegazione di paesi meno sviluppati), l’impiego di due navi da crociera come hotel temporanei, oltre a infrastrutture alternative come scuole, Airbnb e nuovi hotel in cantiere. Complessivamente, si stima la partecipazione di circa 45.000 persone, con la necessità di ampliare la capacità ricettiva tradizionale di Belém.

L’iniziativa brasiliana punta anche a integrare il concetto di “Contributo Nazionalmente Determinato Globale” (Global NDC o GNC), che consenta ad attori locali e non statali di presentare obiettivi di riduzione delle emissioni autonomamente, aumentando così la pressione e l’ambizione complessiva. Il modello punta a coinvolgere attori che spesso anticipano i governi: industrie, città, startup climatiche e comunità locali.

Non mancano però critiche. Fonti internazionali – come Financial Times ed El País – avvertono del rischio che la COP30 si trasformi in un “carnival climatico”, con logiche mercantili e marginalizzazione delle comunità indigene. Si lamenta anche la possibile esclusione di delegati vulnerabili a causa dei costi proibitivi, e la mercificazione della foresta amazzonica come palco simbolico senza reale trasformazione strutturale.

In conclusione, COP30 ha l’ambizione di essere una conferenza diversa: strutturata attorno a una roadmap di azioni pratiche e intersettoriali, e con un profilo etico e inclusivo potenziato dal dialogo globale. Tuttavia, il successo dipenderà dalla capacità di superare i nodi logistici e irrigidimenti politici. Mantenere la partecipazione universale – in un contesto territoriale drammaticamente simbolico come quello dell’Amazzonia – sarà la prova decisiva per trasformare la COP da evento simbolico in leva di governance climatica globale.

Rio Climate Action Week: la capitale carioca diventa laboratorio globale per l’azione climatica

Alla vigilia della COP30, che a novembre trasformerà Belém nell’epicentro della diplomazia ambientale, Rio de Janeiro si prepara a giocare un ruolo decisivo nella costruzione dell’agenda climatica globale. Dal 23 al 29 agosto, la città ospiterà la prima edizione della Rio Climate Action Week (RCAW), un evento che si propone come piattaforma aperta, inclusiva e strategica per accelerare l’azione climatica in Brasile e nel mondo.

Organizzata in collaborazione con la London Climate Action Week, la RCAW si differenzia per la sua struttura policentrica e partecipativa: conferenze, workshop, attività culturali e incontri di networking si svolgeranno in luoghi simbolici della città, dal Museu do Amanhã — icona di architettura e innovazione — a spazi universitari, centri comunitari e hub creativi. L’obiettivo è chiaro: connettere società civile, settore privato, istituzioni pubbliche e comunità scientifica in un “mutirão” — termine brasiliano che evoca l’idea di sforzo collettivo — per arrivare alla COP30 con un’agenda più forte, concreta e condivisa.

Sebbene la conferenza ufficiale delle Nazioni Unite si svolga a migliaia di chilometri di distanza, nel cuore dell’Amazzonia, Rio si candida a essere la “capitale parallela” della COP30. La RCAW non si limita a sensibilizzare: si propone di generare impegni tangibili, favorire alleanze tra città globali e proporre soluzioni replicabili, con un focus che spazia dalla transizione energetica alla finanza verde, passando per le infrastrutture resilienti e l’innovazione tecnologica.

L’apertura ufficiale, il 25 agosto, riunirà figure di primo piano della politica, dell’economia e dell’ambiente: Dan Ioschpe, Alto Campeão della COP30; Izabella Teixeira, ex Ministra dell’Ambiente del Brasile; Marina Grossi, Presidente del CEBDS; Ricardo Mussa, leader di iniziative di business sostenibile; e Tatiana Rosito, Segretaria agli Affari Internazionali del Ministero delle Finanze. Questa composizione eterogenea riflette la natura ibrida dell’evento: dialogo tra governo, mercato e società civile, con l’obiettivo di superare la frammentazione che spesso frena le politiche climatiche.

La transizione ecologica non è più un tema di nicchia per ONG e accademici: rappresenta una leva competitiva per imprese e investitori. Secondo stime internazionali, saranno necessari fino a 6 trilioni di dollari l’anno entro il 2030 per contenere la crisi climatica. Eventi come la RCAW diventano quindi hub naturali per matchmaking tra capitale e innovazione, dove start-up, fondi di investimento, amministrazioni locali e giganti industriali possono condividere pipeline di progetti e modelli di finanziamento.

Se riuscirà a tradurre la sua energia in risultati concreti, la RCAW potrà diventare un appuntamento fisso nell’agenda globale, non solo come “settimana del clima” ma come spazio permanente di co-creazione. In un momento in cui le città emergono come attori centrali nella lotta ai cambiamenti climatici — implementando soluzioni più velocemente degli Stati nazionali — Rio può posizionarsi come hub latinoamericano di innovazione climatica, unendo visione strategica e potenza culturale.

La COP30 rappresenta un’opportunità storica per il Brasile, ma il successo del percorso che vi conduce dipenderà dalla capacità di attivare reti e processi ben oltre i negoziati ufficiali. La Rio Climate Action Week, con la sua energia, inclusività e ambizione, offre un assaggio di come il futuro della governance climatica possa nascere non solo nei palazzi della diplomazia, ma anche nelle strade, nei musei e nelle piazze di una città che ha deciso di diventare laboratorio vivente di cambiamento.

(Contenuto editoriale a cura della Camera Italo-Brasiliana di Commercio e Industria di Rio de Janeiro)

Ultima modifica: Martedì 9 Settembre 2025
Martedì 9 Settembre 2025

Barcellona si conferma motore dell’innovazione scientifica con 7 borse europee per la ricerca di frontiera

La capitale catalana è terza in Europa, dopo Monaco e Parigi, per numero di finanziamenti assegnati dal Consiglio Europeo della Ricerca.

Il Consiglio Europeo della Ricerca (ERC), istituito nel 2007 per promuovere la ricerca d’eccellenza e di avanguardia, ha recentemente annunciato i vincitori delle borse Proof of Concept 2025. Questi finanziamenti, destinati a progetti ad alto contenuto innovativo, mirano a favorire il passaggio dalla ricerca teorica a soluzioni con potenziale applicativo, sia commerciale che sociale.

Dei 150 progetti selezionati in tutta Europa, 20 sono stati assegnati alla Spagna, di cui ben 7 a Barcellona, che riceveranno complessivamente 1.050.000 euro. Questo risultato conferma il posizionamento strategico della città nel panorama scientifico europeo, consolidandone il ruolo guida a livello nazionale e rafforzandone la reputazione internazionale.

Che cos’è la borsa Proof of Concept?

Le borse Proof of Concept sono rivolte ai ricercatori che hanno già beneficiato in passato di un finanziamento ERC e vogliono ora esplorarne le potenzialità applicative. Con un contributo di 150.000 euro per progetto, queste sovvenzioni servono a verificare la fattibilità tecnica e commerciale dei risultati ottenuti, a proteggerli attraverso strumenti di proprietà intellettuale e a facilitarne l’ingresso nel mercato o la diffusione a livello sociale.

L’elevata partecipazione di Barcellona riflette la solidità del suo ecosistema scientifico, in continua crescita. Secondo il Knowledge Cities Ranking, elaborato sulla base dello Science Citation Index, la città ha registrato 22.688 pubblicazioni scientifiche, confermandosi tra i principali centri di produzione e diffusione della conoscenza in Europa.

Per Jordi Valls, quarto assessore comunale all’Economia, Edilizia, Finanze e Turismo, «questi risultati dimostrano che Barcellona non è solo la capitale spagnola della ricerca, ma una delle principali città europee nel campo della ricerca più avanzata. I fondi ottenuti contribuiranno ad aumentare l’impatto della scienza sulla creazione di nuove imprese e occupazione». E aggiunge: «questo conferma la validità della nostra strategia: puntare su scienza e innovazione come leve fondamentali per lo sviluppo economico e il progresso sociale, un impegno che vogliamo continuare a rafforzare».

Questa visione si traduce in politiche concrete: Barcellona sta infatti investendo nella promozione della Barcelona Innovation Coast, nel Piano Strategico per la Scienza e l’Innovazione e nell’iniziativa Barcelona Impulsa. Tutti strumenti che, nel periodo 2025-2027, porteranno al raddoppio degli investimenti pubblici in ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico.

(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana - Barcellona)

Ultima modifica: Martedì 9 Settembre 2025
Martedì 9 Settembre 2025

Nuove dinamiche energetiche nel Baltico: la maxi scoperta polacca e le sue implicazioni per l’Europa e l’Italia

Lo scorso 22 luglio, Central European Petroleum (CEP) ha annunciato la scoperta del più grande giacimento convenzionale di petrolio e gas nella storia della Polonia. Situato nel Mar Baltico, al largo della città di Świnoujście, il pozzo esplorativo Wolin East 1 ha rivelato risorse stimate di notevole entità, aprendo nuovi scenari per la sicurezza energetica dell’Europa e per le opportunità industriali lungo tutta la filiera.

1. La scoperta: dimensioni e rilievo strategico

Secondo le stime iniziali diffuse da CEP:

  • Il pozzo Wolin East 1 conterrebbe circa 22 milioni di tonnellate di petrolio e condensati recuperabili.
  • A questi si aggiungono circa 5 miliardi di metri cubi di gas naturale.
  • L’intera concessione offshore, estesa su circa 600 km², potrebbe contenere fino a 33 milioni di tonnellate di greggio e 27 miliardi di m³ di gas.

Se confermati, questi volumi rappresenterebbero una duplicazione delle riserve petrolifere polacche attualmente note e una delle scoperte energetiche più significative in Europa nell’ultimo decennio.

2. Implicazioni per la Polonia

Questa scoperta arriva in un contesto in cui la Polonia:

  • importa circa il 95% del proprio fabbisogno petrolifero;
  • dispone di capacità di raffinazione sufficienti (oltre 24 Mt/anno) per valorizzare internamente una parte rilevante della produzione attesa;
  • sta intensificando la propria strategia di indipendenza energetica, anche alla luce degli sviluppi geopolitici recenti.

Oltre all’impatto diretto sul bilancio energetico, l’inizio delle operazioni su larga scala potrebbe attrarre investimenti, sviluppare nuove competenze e rilanciare l’occupazione industriale nell’area baltica.

3. Prospettive per l’Unione Europea

In un momento di grande incertezza sui mercati internazionali dell’energia, la scoperta nel Baltico contribuisce a:

  • diversificare le fonti di approvvigionamento europee;
  • rafforzare la resilienza energetica interna all’UE;
  • ridurre la dipendenza da Paesi terzi, in particolare nell’ambito oil & gas.

Tuttavia, la notizia ha generato anche alcune perplessità. Alcuni istituti di ricerca, come il tedesco DIW, hanno evidenziato:

  • possibili impatti ambientali su aree turistiche e marine;
  • il rischio di una parziale inversione rispetto agli obiettivi climatici europei, in un momento in cui la Commissione promuove con forza il phase-out dai combustibili fossili.

4. Implicazioni per l’Italia e per la filiera industriale

Pur trattandosi di una scoperta in territorio polacco, gli effetti potenziali riguardano anche il nostro Paese, sia in chiave industriale che strategica.

Opportunità per le imprese italiane:

  • Tecnologie offshore: progettazione di impianti, sistemi di perforazione, pipeline sottomarine, sistemi di automazione e sicurezza.
  • Servizi specialistici: consulenze ambientali, monitoraggio acustico e marino, gestione impatti su ecosistemi e turismo.
  • Engineering e componentistica: valvole, sensoristica, strumentazione oil & gas, logistica per piattaforme e navi appoggio.

Opportunità di collaborazione:

  • Possibili joint-venture con operatori attivi nell’area baltica.
  • Ingresso in gare d’appalto e subforniture legate alle future fasi di sviluppo industriale.
  • Export di know-how italiano in ambito sostenibilità, efficienza energetica e controllo ambientale.

Aspetti geopolitici:

  • Una maggior sicurezza energetica regionale potrebbe impattare anche sui flussi energetici diretti verso l’Italia, soprattutto via mercati centralizzati europei (gas, GNL).
  • Aumenta l’interesse per il Mar Baltico come area chiave per lo sviluppo energetico, anche in ottica eolica offshore e transizione integrata.

5. Considerazioni finali

La scoperta di Wolin East 1 non rappresenta solo una novità geologica, ma un potenziale punto di svolta per le dinamiche energetiche dell’Europa centro-orientale.

Per le imprese italiane attive nei settori dell’energia, dell’industria manifatturiera avanzata e dei servizi tecnologici, si aprono spazi concreti di collaborazione industriale e commerciale, con ricadute potenziali sul medio e lungo periodo.

Monitorare con attenzione l’evoluzione di questa scoperta sarà cruciale per cogliere per tempo occasioni di posizionamento e sviluppo.

(Contributo editoriale a cura della Camera di Commercio e dell'Industria Italiana in Polonia)

Ultima modifica: Martedì 9 Settembre 2025