Domenica 14 Dicembre 2025
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Il gruppo BP ha acquisito una partecipazione del 40% nel progetto Viking CCS da Harbour Energy, per accelerare la strategia di cattura e stoccaggio del carbonio in Regno Unito. Il progetto Viking mira a raggiungere fino a un terzo dell'obiettivo (30 milioni di tonnellate) che si è posto il governo nella cattura di anidride carbonica entro il 2030, riutilizzando vecchi giacimenti di gas esauriti al largo della costa della regione di Humber.
L'investimento di BP fornisce un supporto significativo ad un progetto che è tra i principali nomi per la prossima fase di approvazione del governo. La major petrolifera assorbirà il 40% dei costi totali, anche se i termini dell'accordo complessivo non sono stati resi noti. BP è già alla guida dell'East Coast Cluster come operatore della Northern Endurance Partnership su Teesside e Humber, che mira a ridurre 23 milioni di tonnellate di emissioni di CO₂ all'anno entro il 2035.
Harbour, il più grande produttore di petrolio e gas nel Mare del Nord del Regno Unito, gestirà il progetto Viking e manterrà comunque una quota del 60%. Ma investire in Viking darebbe a BP un ulteriore sostegno nelle sue operazioni di CCS (Carbon Capture and Storage) nel Regno Unito, oltre a creare nuove opportunità. Anja Dotzenrath, responsabile del gas e dell'energia a basse emissioni di carbonio presso BP, ha affermato che la società è "entusiasta" del potenziale che il progetto ha "nell’aiutare a decarbonizzare il paese".
La multinazionale sta cercando di espandere i propri investimenti in tecnologie verdi e nelle energie rinnovabili: BP ha recentemente ricominciato ad investire in UK, concentrandosi sull'eolico offshore e sulla cattura del carbonio come parte della sua strategia di transizione energetica.
Il governo del Regno Unito ha affermato a marzo che il progetto Viking e il progetto Acorn in Scozia sono in ottima posizione per essere selezionati nel suo processo Track 2, unendosi così ai progetti East Coast Cluster e Hynet North West, selezionati nel 2021 durante il primo round.
"Il nostro ingresso in Viking CCS dimostra l'impegno di BP nel sostenere il paese attraverso investimenti sostanziali e aiutando il Regno Unito a raggiungere i suoi obiettivi net zero", ha affermato Louise Kingham, Head of Country di BP per il Regno Unito.
Fonte: https://on.ft.com/41hXc4Z
(Contenuto editoriale a cura di The Italian Chamber of Commerce and Industry for the United Kingdom)
Dopo decenni di importazione di costosi combustibili fossili, il governo britannico sta attuando un cambiamento radicale nel sistema energetico del paese, muovendosi verso l’utilizzo di fonti energetiche più pulite e più convenienti. Le nuove tecnologie verdi, che verranno sviluppate e implementate in Galles - tra cui l'utilizzo e lo stoccaggio del carbonio (CCUS) e l'idrogeno - guideranno il nuovo piano di sicurezza energetica del governo.
Il parlamentare Grant Shapps ha annunciato un nuovo finanziamento di 160 milioni di sterline per costruire una rete infrastrutturale portuale necessaria ad aiutare lo sviluppo dell'eolico galleggiante offshore, attraverso il Floating Offshore Wind Manufacturing Investment Scheme. Questo schema sosterrà gli investimenti nei progetti necessari a soddisfare le ambizioni del Regno Unito di raggiungere fino a 5 GW di energia eolica offshore galleggiante entro il 2030, con una serie di potenziali progetti nel Mar Celtico.
Il governo ha inoltre confermato il progetto di “cattura e stoccaggio del carbonio” dell’Hanson Padeswood Cement Works, con sede nella regione del Galles del Nord, come uno degli otto programmi da portare avanti per formare la base dei nuovi cluster CCUS (Carbon Capture, Usage & Storage) del paese. Questo annuncio segue la conferma del budget di 20 miliardi di sterline a sostegno del CCUS, che contribuirà alla creazione di mezzo milione di nuovi posti di lavoro in tutto il paese.
Il primo ministro Rishi Sunak ha dichiarato: “Grazie alla nostra geografia unica e alla forte esperienza in ambito green, il Regno Unito è in una buona posizione per creare nuove industrie specializzate nello stoccaggio del carbonio, nell'idrogeno e nell'eolico galleggiante offshore in tutto il paese. Investendo nell’indipendenza energetica, manterremo la nostra promessa di far crescere l'economia con nuovi posti di lavoro ben retribuiti e opportunità per le imprese di esportare in tutto il mondo.”
“Il piano di sicurezza energetica del governo del Regno Unito è ambizioso e contiene fantastiche notizie per tutto il Galles”, ha affermato il Segretario di Stato per il Galles David TC Davies, “Sappiamo che esiste un enorme potenziale per l'eolico galleggiante offshore e disponiamo di siti per nuovi sviluppi nucleari. Il governo sta inoltre sostenendo il piano per fornire abbastanza elettricità pulita e sicura per 4 milioni di case entro il 2035 nella zona del Mar Celtico. Abbiamo annunciato un finanziamento governativo di 160 milioni di sterline per avviare la costruzione di infrastrutture nei porti e fornire così energia rinnovabile.”
Il governo del Regno Unito ha anche fissato l'obiettivo di 10 GW di produzione di idrogeno entro il 2030, che potrebbe generare abbastanza elettricità pulita per alimentare tutta Londra per un anno.
Il Galles è al centro di questo piano: sarà proprio gallese una delle compagnie ad avere accesso al Net Zero Hydrogen Fund da 240 milioni di sterline. Inoltre, quindici progetti riceveranno una sovvenzione di 37,9 milioni di sterline per sostenere lo sviluppo e l'implementazione di nuovi impianti di produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio.
Fonte: https://bit.ly/43tquz2
(Contenuto editoriale a cura di The Italian Chamber of Commerce and Industry for the United Kingdom)
Il Next Generation EU (NGEU) e l’Agenda 2030 sono alcuni degli strumenti attraverso i quali l’Europa sta affrontando la fornitura di elettricità, calore e combustibili. Crisi climatica, crisi energetica e crisi economico-finanziaria sono le principali ragioni per cui l’UE tende sempre di più verso la produzione e l’utilizzo di energie rinnovabili. Il 2022 è stato un’ottima annata per la transizione energetica, in particolare in termini di nuovi impianti eolici (+33%) e solari (+47%). Sia la Germania che l’Italia hanno fatto progressi significativi nell’ultimo anno.
I progressi in Italia e Germania
Italia e Germania hanno elevati consumi e una dipendenza da fonti energetiche fossili. Finora entrambi i paesi si sono affidati prevalentemente alle importazioni da altri paesi, ma nel 2022 hanno aumentato il numero di installazioni e di relativa energia green generata.
Nel 2022 la Germania è stato il Paese europeo con la maggiore percentuale di crescita in termini di nuove installazioni di impianti eolici e fotovoltaici, che hanno prodotto 8 gigawatt in più di energia. Complessivamente la Germania ha registrato circa il +9% in più di elettricità generata da fonti rinnovabili rispetto al 2021.
In Italia, al contrario, l’energia eolica ha sviluppi più lenti e ha visto l’installazione di meno di mezzo gigawatt di capacità. Buone, invece, le prospettive per l’energia solare: l’aumento di 2,6 GW nel 2022 ha superato per la prima volta dal 2014 la soglia annua di 1 GW. Dal 2023 al 2026 il Paese potrebbe installare da un minimo di 16,4 gigawatt ad un massimo di 34 gigawatt.
Verso l'idrogeno verde
Grazie alla crescita delle fonti di energia rinnovabile, sta aumentando l'interesse degli attori privati e pubblici per l'idrogeno verde, ovvero idrogeno prodotto con elettricità rinnovabile o a bassissima intensità di emissioni. L’idrogeno verde si ottiene attraverso un processo di elettrolisi; la successiva trasformazione produce energia e vapore acqueo (la sua produzione ha quindi un basso impatto ambientale) e rappresenta una valida alternativa ai combustibili fossili, in quanto può essere prodotto ovunque, stoccato ed utilizzato in diversi settori.
L´Italia dispone di fattori geografici e infrastrutturali favorevoli per la produzione di Idrogeno verde: risorse naturali (sole, vento, acqua) e condizioni climatiche adatte, la vicinanza all’Africa e una rete di gasdotti di oltre 32.600 km. Il Paese dispone inoltre di piano di investimenti di circa 3,7 miliardi di euro per progetti legati all'idrogeno con 10 hydrogen valleys in fase di realizzazione (in Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Basilicata e Puglia). L’Italia ha tuttavia necessità di ulteriori espansioni infrastrutturali: si stimano come necessari almeno 15 GW di elettrolizzatori e 70 GW di rinnovabili, mentre il piano italiano per l’idrogeno verde è fermo a 5 GW di elettrolizzatori entro il 2030. Il Paese dovrebbe inoltre avviare collaborazioni con altre aziende europee per lo sviluppo di tecnologie innovative legate all'idrogeno.
Dall´altro lato, la Germania ha avviato un piano per il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2045 e una strategia nazionale per l'idrogeno, che prevede un fabbisogno fino a circa 90-110 TWh entro il 2030. Complementarmente rispetto all’Italia, la Germania dispone di brevetti (contribuisce alla quota di brevetti mondiali legati all’idrogeno per l’11%, mentre l'Italia solo per il 2%) e si concentra sull'espansione delle tecnologie, della produzione, dello stoccaggio, delle infrastrutture e delle applicazioni, compresa la logistica.
Sia Italia che Germania potrebbero giovare di questa risorsa e sono partner ideali la cooperazione transfrontaliera nell'ambito della produzione di idrogeno verde.
(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio Italiana per la Germania)
La Danimarca spicca su molti altri Paesi europei per il suo impegno nella transizione ecologica e nella produzione di energia da fonti sostenibili: il Paese scandinavo, a partire dalla drammatica crisi petrolifera del 1973, ha messo in opera, nel corso dei decenni, una politica energetica rivelatasi lungimirante, che ha puntato fortemente sulla produzione di energia da fonti rinnovabili (86.4% del mix di generazione energetica). È, dunque, sulla scorta di questo impegno di lunga durata se il governo danese può annunciare di puntare a raggiungere l’obiettivo di rendere il Paese carbon neutral entro il 2050, senza che ciò sembri una mera dichiarazione simbolica ma, al contrario, un obiettivo concreto, al punto che questo stesso obiettivo è stato spostato al 2045 nel dicembre dello scorso anno.
Nel quadro di tale impegno, il governo danese ha concesso, lo scorso febbraio, tre licenze per conservare fino a 13 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, a partire dal 2030, nelle cave di arenaria di vecchi giacimenti petroliferi e gassosi situati nel Mare del Nord. Le licenze sono state concesse a tre colossi energetici: la francese TotalEnergies, l’inglese Ineos e la tedesca Wintershall DEA.
Ineos e Wintershall, stando a quanto annunciato dal Ministero per il Clima e l’Energia danese, inizieranno a stoccare CO2 a partire dal 2025, nell’ambito del progetto condiviso Greensand, con un’iniziale contributo di 1.5 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno, che aumenteranno gradualmente fino a toccare gli 8 milioni entro il 2030. Il progetto Bifrost di TotalEnergies inizierà con 3 milioni di tonnellate all’anno nel 2027 per raggiungere le 5 nel 2030.
L'Indagine Geologica di Danimarca e Groenlandia ha dimostrato che il sottosuolo danese, sia onshore che offshore, è particolarmente adatto per lo stoccaggio di anidride. Si è stimato che il potenziale di stoccaggio del sottosuolo danese raggiunga i 22 miliardi di tonnellate – corrispondenti a un numero compreso tra 500 e 1000 anni di emissioni danesi agli attuali livelli – il che assicura un futuro florido a questa industria nel Paese, che ha già stipulato accordi con altri Paesi: in particolare, a settembre Danimarca e Belgio hanno siglato un accordo affinché quest’ultimo possa stoccare le sue emissioni di carbonio all’interno delle riserve danesi.
Benché, in comparazione, sia decisamente più costoso ridurre le emissioni tramite l’impiego di tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2 rispetto all’investimento in fonti rinnovabili, la tecnologia CCS (Carbon Capture and Storage) si rivela estremamente utile perché permette di ridurre emissioni di settori ad alto tasso inquinante che difficilmente possono essere riconvertiti in “green” – si pensi all’industria chimica, a quella cementizia o alla siderurgica.
In conclusione, la Danimarca, nel quadro di un consolidato percorso pluriennale green, sta iniziando un progetto a lungo termine di stoccaggio di anidride carbonica che mira a rendere la Danimarca un hub europeo. La scala di questo progetto, nonché l’eccellente track record danese, lo rendono di particolare interesse per le imprese operanti in questo settore.
Fonte: https://bit.ly/3ZZdAGB
(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio italiana in Danimarca)
Un limite ai profitti e la mancanza di incentivi offerti a nuovi attori nel settore petrolifero stanno bloccando lo sviluppo delle energie rinnovabili in Gran Bretagna; come affermano funzionari del settore che stanno premendo per alcuni cambiamenti prima della pubblicazione del budget di questa settimana.
Il governo britannico si è posto importanti obiettivi soprattutto nella produzione eolica, cercando di raggiungere il punto di Net-Zero entro il 2050 e diventando così più indipendente dal punto di vista energetico – soprattutto a seguito dell'interruzione dell'approvvigionamento causata dall'invasione russa dell'Ucraina.
Alcuni rappresentanti del settore delle energie rinnovabili hanno affermato che questi obiettivi potrebbero non essere raggiunti senza cambiamenti dal punto di vista politico, soprattutto visto come altri paesi stiano lavorando maggiormente per attrarre investimenti nel settore della green energy.
Tra le questioni più controverse c'è l'Electricity Generator Levy (EGL), che il governo ha implementato dall'inizio di quest'anno per combattere i prezzi elevati dell'energia, e che l'industria definisce una tassa “inaspettata".
Rod Wood, amministratore delegato presso lo sviluppatore di energia eolica Community Wind Power, è tra coloro che cercano modifiche all'EGL nel budget del 15 marzo: "La tassazione (EGL) sta per mettere la parola fine agli obiettivi rinnovabili che il Regno Unito si era prefissato", ha affermato. In particolare, vorrebbe includere un'indennità di investimento paragonabile a quella che le compagnie petrolifere e del gas ricevono come riportato nella Energy Profits Levy (EPL).
Gli obiettivi del governo britannico includono l'aumento della capacità eolica offshore a 50 gigawatt (GW) dai circa 14 GW attuali. Wood ha inoltre sottolineato che senza modifiche fiscali, la sua azienda sarebbe costretta a fermare lo sviluppo di tre progetti scozzesi onshore, per un totale di 1,2 GW, che entro il 2025 potrebbero generare energia sufficiente per più di un milione di case.
"Quando si guarda a quanto sono aumentati i costi nel Regno Unito rispetto ai pacchetti offerti dagli Stati Uniti, non è difficile capire perché conviene trasferire il business in US", ha affermato.
Altri sviluppatori affermano che la combinazione di tassazione, alti prezzi dell'energia, difficoltà nella catena di approvvigionamento, inflazione e aumento dei tassi di interesse può minacciare i loro progetti.
La scorsa settimana la compagnia danese Orsted ha dichiarato che il suo progetto “Hornsea 3” nel Mare del Nord, che con circa 3 GW sarebbe il parco eolico più grande del mondo una volta costruito, potrebbe essere sospeso a meno che non ottenga sostegno come agevolazioni fiscali, soprattutto a causa dell’aumento dei costi.
Un altro grande progetto è la Norfolk Offshore Wind Zone del gruppo Vattenfall. Rob Anderson, il suo direttore del progetto, ha affermato che il governo britannico "deve mostrare il suo sostegno al settore nel bilancio della prossima settimana, attraverso quote di capitale".
Anche i produttori di petrolio e gas, soggetti a una tassa sui guadagni straordinari dal maggio 2022, si stanno battendo per un ottenere cambiamento. L’imposta sull'Energy Profit Levy (EPL) che lo scorso anno ha aumentato l'aliquota fiscale al 75%, una delle più alte al mondo, sta restringendo l'accesso dei produttori a possibili finanziamenti.
Gli sviluppatori di energie rinnovabili affermano che il settore del petrolio e del gas ha goduto per anni di agevolazioni fiscali, mentre gli attivisti green sottolineano come il settore non dovrebbe più ricevere alcun incentivo data la necessità di eliminare gradualmente i combustibili fossili.
L'industria britannica dei combustibili fossili, tuttavia, ha dichiarato che è ancora necessario investire nel bacino del Mare del Nord e che il combustibile prodotto in casa è molto meno inquinante rispetto all'importazione di petrolio e gas da luoghi lontani dove l'approvvigionamento potrebbe essere interrotto più facilmente. Le aliquote fiscali più elevate dovrebbero entrare in vigore solo quando i profitti derivano da prezzi superiori a un prezzo minimo ancora da concordare, basato su una media storica, piuttosto che l'intero profitto indipendentemente dal prezzo come avviene attualmente.
Il ministro delle finanze Jeremy Hunt, in una riunione a dicembre, ha respinto le richieste dell'industria petrolifera e del gas di modificare la tassa sui guadagni “eccezionali”.
Ulteriori incontri, anche a fine febbraio, con i funzionari del Tesoro hanno avuto luogo, ma non ci si aspetta alcun cambiamento rispetto al bilancio del 15 marzo, hanno detto due fonti anonime del settore.
Nel frattempo, il più grande produttore di petrolio e gas della Gran Bretagna, Harbour, ha annunciato tagli di posti di lavoro. La multinazionale TotalEnergies ha tagliato di un quarto il suo programma di investimenti nel Regno Unito.
Fonte: https://bbc.in/402FtgB
(Contenuto editoriale a cura di The Italian Chamber of Commerce and Industry for the United Kingdom)
La Turchia rafforza la sua posizione nel panorama dell’energia eolica, collocandosi al 6° posto in Europa per capacità di potenza installata, secondo il rapporto "2022 European Wind Statistics and 2023-2027 Outlook" dell'Associazione europea per l'energia eolica, WindEurope.
Il rapporto rivela che la Turchia ha aggiunto 867 megawatt di capacità eolica nel 2022, portando la sua potenza totale installata a 11.969 megawatt, in aumento rispetto alla classifica del 2021. Il rapporto mostra, inoltre, che cinque Paesi (Germania, Spagna, Regno Unito, Francia e Svezia) rappresentano un terzo della potenza totale installata in Europa per un totale di 254.788 megawatt. La Germania ha la più alta capacità di energia eolica installata con 66.322 megawatt. Precedono la Turchia anche Spagna con 29.798 megawatt, Regno Unito con 28.499 megawatt, Francia con 21.135 megawatt e Svezia con 14.585 megawatt. La Turchia precede invece l’Italia che si colloca la 6° posto in Europa.
La Turchia ha previsto di installare nel quinquennio 2023-2027 ulteriori 8,2 GW, tutti onshore.
Il “wind energy target” della Turchia è di 18,1 GW entro il 2030 e 29,6 GW entro il 2035.
(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio e Industria Italiana in Turchia)
Il piano energetico nazionale turco, predisposto recentemente nell’ambito dell’obiettivo della neutralità in termini di emissioni di anidride carbonica entro il 2053, è stato oggetto di un recente intervento del Ministro dell'Energia e delle Risorse naturali Fatih Dönmez. Dönmez ha condiviso la tabella di marcia per il settore energetico in Turchia e le strategie per l’utilizzo delle tecnologie dell'idrogeno affermando che “la Turchia possiede tutti gli strumenti idonei per consentire al Paese di diventare un attore fondamentale nel settore dell’efficienza energetica e delle tecnologie da fonti rinnovabili ma anche in quello dell’idrogeno e del nucleare” (si stima una capacità installata di 7,2 GW entro il 2035 di energia nucleare).
Contestualmente, le fonti energetiche rinnovabili che nel 2020 avevano una quota del 16,7% nel consumo di energia della Turchia, aumenteranno al 23,7% nel 2035. La capacità elettrica installata delle energie pulite passerà da 95.900 megawatt a 189.700 megawatt. Gli aumenti della potenza installata riguarderanno quella solare (52.900 MW), eolica (29.600 MW), idroelettrica (35.100 MW) e geotermica e a biomassa a 5.100 megawatt entro il 2035.
Ma gli investimenti più attesi, sempre nelle parole del Ministro, saranno quelli che la Turchia realizzerà nel campo dell'energia nucleare: entro il 2035 l'elettricità che verrà generata in Turchia dal nucleare raggiungerà l'11,1% della produzione totale con 20 gigawatt - trattative con gli USA sono state recentemente avviate per i reattori modulari di piccole e medie dimensioni (SMR) - che sostituiranno la produzione delle centrali a carbone (si veda l’approfondimento su Cronache Economiche di dicembre 2022 ). Tra le rinnovabili oggi in Turchia la capacità idroelettrica, prima fonte, è di circa 31.600 (MW). L’eolico (17,7%) è la seconda fonte rinnovabile di elettricità con 11.36 MW mentre la potenza assicurata e installata dal fotovoltaico in Turchia ha raggiunto i 9.120 MW a novembre 2022. L’idroelettrico, con oltre 600 centrali, assicura al Paese quasi 30 mila MW. Il 2022 si chiuderà, secondo quanto recentemente affermato dal Direttore della Turkish Wind Energy Association (TÜREB), Ibrahim Erden, con un risultato eccellente per quanto attiene la generazione di elettricità da fonte eolica anche in termini di export soprattutto verso i Paesi dell’Unione Europea.
(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio e Industria Italiana in Turchia)
La Thailandia è sempre più impegnata nella realizzazione di regolamentazioni per le energie rinnovabili. La Commissione per la regolamentazione dell'energia (ERC) sta lavorando a una "tariffa verde" che determinerà il prezzo delle bollette dell'energia elettrica per i proprietari di fabbriche che devono utilizzare energia pulita per raggiungere la neutralità di carbonio.
Molte fabbriche in Thailandia sono desiderose di adottare energia pulita, in quanto si impegnano a perseguire gli obiettivi aziendali per combattere il riscaldamento globale. Il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) è disposto a perseguire questo obiettivo, non solo per ridurre le emissioni di carbonio, ma anche per evitare le barriere non tariffarie da parte dell'UE.
Fonte: https://bit.ly/3Yntqda
(Contenuto editoriale a cura della Thai-Italian Chamber of Commerce)
Già in passato è stato scritto di quanto la Danimarca sia all’avanguardia nell’ambito della produzione di energia ricavata da fonti rinnovabili, e di quanto sia la politica che il settore privato operino in sinergia per raggiungere gli obiettivi ambiziosi di una riduzione dell’energia nel Paese del 70% rispetto ai livelli del 1990, che dovrebbe poi proseguire verso la neutralità climatica, da raggiungere entro il 2050.
In questo panorama, cinque società situate nella Zelanda, l’isola più ad est del paese dove si sviluppa la capitale, Copenhagen, stanno collaborando per sviluppare tecnologie che possono rendere più economica la produzione di idrogeno e combustibili verdi.
Il progetto si chiama PtX Cluster Zealand, e si sviluppa dalla collaborazione tra cinque realtà high-tech del territorio, in stretta interazione anche con università ed industria.
Queste aziende si stanno focalizzando sul cosiddetto Power-to-X, e quindi sulla produzione di idrogeno verde da fonti energetiche rinnovabili. Facendo attenzione ai flussi di acqua e alle fonti di CO2, il progetto mira a creare una tecnologia capace di ridurre i costi di produzione dell’energia del 20%.
Globalmente, l’obiettivo di produrre ed utilizzare idrogeno verde è enorme, e le stime dicono che, nel 2050, la produzione di questa energia avrà un valore di 630 miliardi di euro, con una domanda di mercato praticamente inesauribile.
“Per noi si tratta di premere il pedale fino in fondo ora per il bene della nostra attività e per il clima”, questo il commento di Søren Højgaard Jensen, amministratore delegato di Dynelectro, una delle 5 aziende coinvolte nel progetto.
Power-to-X, pulito e anche economico, può diventare un’ennesima possibilità di crescita in Danimarca, che può confermare la presenza del Paese a livello mondiale nel settore delle energie rinnovabili.
Per sfruttare a pieno quest’opportunità, gli esperti sottolineano quanto sia importante, ora, che la politica prenda l’iniziativa per dare direttive concrete sullo sviluppo di un'infrastruttura nazionale per l'idrogeno.
Fonte: https://bit.ly/3kxIV3y
(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio italiana in Danimarca)
Secondo un nuovo studio del think tank turco “Sustainable Economics and Finance Research Association” (SEFIA) pubblicato lo scorso 16 dicembre, l'aumento della capacità di generazione di energia fotovoltaica ed eolica potrebbe ridurre l'inflazione in Turchia del 7%. L'aumento della produzione di elettricità da fonti rinnovabili in Turchia ridurrebbe inoltre i costi del carburante (il Paese è fortemente dipendente dalle importazioni dall’estero per coprire il proprio fabbisogno) che sono stati pari a 3,1 miliardi di dollari nel 2021 e 3,3 miliardi nei soli primi sei mesi del 2022. Inoltre, da un recente rapporto congiunto elaborato dall’UNDP e dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), si stima che la Turchia potrebbe trarre enormi benefici economici spostando i nuovi investimenti dai combustibili fossili alle fonti energetiche rinnovabili aumentando il suo PIL fino a 8 miliardi di dollari all’anno e riducendo contestualmente le emissioni di gas di serra di circa il 10% rispetto ai livelli del 2019.
Secondo le ultime stime dell’IEA (dell'Agenzia Internazionale per l'Energia) si prevede che la Turchia possa crescere ancora di un ulteriore 60% nella sua capacità di generare energia rinnovabile nei prossimi cinque anni, collocando il Paese tra i primi 10 maggiori mercati del mondo, con 90 gigawatt (GW) di nuova potenza installata entro il 2027. Secondo il Direttore Esecutivo della IEA, il turco Fatih Birol, la crescita della capacità di energia rinnovabile deriverà per il 49% dall'energia solare e per un 24% dall'energia eolica. Un risultato che consentirebbe alla Turchia di diventare il 4° più grande mercato delle rinnovabili in Europa e il 10° nel mondo. Tra le rinnovabili oggi in Turchia la capacità idroelettrica, prima fonte, è di circa 31.600 (MW).
L’eolico (17,7%) è la seconda fonte rinnovabile di elettricità con 11.36 MW mentre la potenza assicurata e installata dal fotovoltaico in Turchia ha raggiunto i 9.120 MW a novembre 2022. L’idroelettrico, con oltre 600 centrali che assicurano al Paese quasi 30 mila MW, è molto sviluppato in Turchia; tuttavia, non sono previsti investimenti nei prossimi anni in considerazione del fatto che il potenziale idroelettrico del Paese, anche a causa del riscaldamento globale e della siccità che affligge grandi aree della Turchia nel periodo primaverile ed estivo, è stato in gran parte utilizzato. Investimenti sono invece previsti per l’espansione della capacità produttiva di energia eolica e solare che nel 2021 hanno assicurato quasi 45 terawattora (TWh). Le centrali eoliche (le più potenti sono installate nella regione di Izmir), hanno generato nel 2021 quasi 179 mila megawattora su un totale di quasi 800 mila megawattora di produzione giornaliera di elettricità. Nel Paese l’energia solare, distribuita in modo più omogeno in tutto il Paese rispetto all’eolico, può beneficiare di particolari condizioni vantaggiose, particolarmente nella sud-est dell’Anatolia e lungo la costa Egea del Mediterraneo e si stima che possano essere aggiunti 10 GW di energia solare entro il 2023 e 30 GW entro il 2030, di cui quasi 4 GW derivanti da istallazione fotovoltaiche per le utenze domestiche. Per quanto attiene l’energia eolica, oggi in Turchia la capacità è di 11.36 GW, +50% rispetto a due anni fa, ma si stima una crescita che potrebbe portare l’eolico a 13 GW entro il 2024.
Il 2022 si chiuderà, nelle recenti parole del Direttore della Turkish Wind Energy Association (TÜREB), Ibrahim Erden, con un risultato eccellente per quanto attiene la generazione di elettricità da fonte eolica anche in termini di export soprattutto verso i Paesi dell’Unione Europea. Secondo un recente rapporto dal titolo "Fossil Fuel Prices and Inflation in Turchia " la crisi energetica globale innescata dalla guerra della Russia in Ucraina, con il combinato deprezzamento della moneta turca, ha causato un aumento dei prezzi dell’energia in Turchia del 102% negli ultimi 12 mesi dell’anno. il costo del gas nel periodo in osservazione è salito del 145%, quello dei carburanti per autoveicoli del 182%. Il rapporto prevede anche per il 2023 un aumento di tali costi ma che, tuttavia, grazie ai cospicui investimenti previsti nel fotovoltaico e nell’eolico, si stima che in Turchia il prossimo anno il costo per megawatt ora generato dal fotovoltaico sarà circa di 64 dollari e quello dell'energia eolica a 44 dollari, meno della metà del costo per megawattora per produrre energia da gas naturale, il cui prezzo si aggirerà sui 128 dollari nel 2023.
Dati più recenti del Piano Energetico Nazionale, indicano una capacità complessiva di energia solare che potrebbe raggiungere, secondo stime preliminari diffuse ad inizio 2023 da una proiezione del Ministero dell’Energia e delle Risorse Naturali, i 52,9 giga watt entro il 2035 con un risparmio sul consumo di petrolio nel Paese. Quella eolica, nell’analoga data, dovrebbe invece aumentare a 29,6 gigawatt di cui 5 offshore.
Sempre entro il 2035 si stima che la potenza elettrica della Turchia potrebbe raggiungere i 189,7 gigawatt (+96,5 GW); la quota di energia elettrica prodotta dalle energie pulite passerebbe al 64,7% (+43,5%). Infine, secondo il Global Wind Report 2022" del “Global Wind Energy Council” (GWEC) la Turchia si colloca tra i quattro Paesi al mondo con il più alto “potenziale” di energia eolica offshore accanto a Azerbaijan, Australia e Sri Lanka.
(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio e Industria Italiana in Turchia)