Economia

Giovedì 16 Marzo 2023

Silicon Valley Bank e la più grave crisi di un istituto di credito americano dal 2008

La Silicon Valley Bank (SVB), l'istituto finanziario più noto per i suoi rapporti con le startup tecnologiche e le società di venture capital, ha sperimentato uno dei più vecchi problemi del settore bancario, la corsa agli sportelli, che ha causato nel giro di poche ore il più grande fallimento negli Stati Uniti dai tempi del Washington Mutual del 2008.  

La Silicon Valley Bank è stata colpita in pieno dalla flessione delle azioni del comparto tecnologico dell’ultimo anno e dal piano aggressivo della Federal Reserve di rialzo dei tassi nel tentativo di combattere l’inflazione dilagante nel paese. 

Negli ultimi due anni, la SVB ha acquistato obbligazioni per miliardi di dollari, utilizzando i depositi dei clienti come farebbe normalmente una banca. Questi investimenti sono tipicamente sicuri, ma il loro valore è diminuito perché i tassi d'interesse che pagavano risultavano inferiori a quelli che un'obbligazione analoga avrebbe pagato se fosse stata emessa in un contesto come quello di oggi con tassi d'interesse più elevati.

Solitamente questo differenziale dei tassi non è un problema per le banche dal momento che conservano questi investimenti a lungo, a meno che debbano venderli in casi di emergenza. Tuttavia, proprio la clientela della SVB si è rivelata in difficoltà: queste aziende, infatti, in gran parte startup e high tech, hanno avuto necessità di maggiore liquidità a causa dell’esaurimento di finanziamenti da parte dei venture capitalist. Un altro segnale di crisi del settore high tech è da ritrovarsi nei numerosi licenziamenti da parte di aziende più strutturate, tra cui Microsoft, Google, Amazon, Alphabet e Coinbase,  che nel solo 2022 hanno licenziato complessivamente 70.000 dipendenti.

Le aziende della Silicon Valley si sono quindi trovate costrette a prelevare dai propri depositi bancari e la SVB ha iniziato a vendere i propri asset per poter soddisfare questa crescente domanda di liquidità. I clienti della SVB, essendo principalmente persone facoltose ed aziende, i cui depositi superano il limite federale assicurato di $ 250.000, temevano un default dell’istituto di credito. 

Ciò ha richiesto la vendita in perdita di obbligazioni tipicamente sicure, perdite che si sono sommate fino a rendere la Silicon Valley Bank di fatto insolvente. La banca ha cercato quindi senza successo di raccogliere ulteriore capitale da investitori esterni. Le autorità regolatorie hanno dovuto di conseguenza sequestrare gli asset della Silicon Valley Bank per proteggere le attività e i depositi rimasti presso la banca.

Considerato che la maggior parte dei depositi, come evidenziato in precedenza, non è assicurato dal governo federale e che non si ritiene di trovare un compratore che voglia caricarsi dei problemi di liquidità del settore high tech, la situazione sembra destinata a congelarsi nei prossimi mesi. 

Al momento però gli analisti non temono un contagio globale come avvenuto nel 2008: la Silicon Valley Bank era un importante istituto di credito ma che serviva quasi esclusivamente una cerchia ristretta di aziende dell’ecosistema high tech e venture capital della California.

Le altre banche però hanno un business model molto più diversificato dal punto di vista della clientela e degli investimenti effettuati. Come dimostra il recente “stress test” della Federal Reserve, gli istituti di credito e finanziari più grandi degli Stati Uniti sono in grado di resistere ad uno scenario di profonda recessione e di calo della disoccupazione. Tuttavia, se non si riuscirà a sbloccare in tempi brevi la liquidità dei correntisti della SVB, c’è da aspettarsi un effetto boomerang sull’economia della Bay Area e nel mondo delle startup tecnologiche. 

 

Fonte: https://bit.ly/3YXF1zy

 

(Contenuto editoriale a cura della Italy-America Chamber of Commerce Southeast)

Ultima modifica: Giovedì 16 Marzo 2023
Giovedì 16 Marzo 2023

Regno Unito - "Global greedflation": le grandi aziende fanno salire i costi a livelli record

Le grandi compagnie hanno alimentato l'inflazione con aumenti dei prezzi superiori all'incremento delle tariffe delle materie prime e dei salari, spingendo così i costi della spesa a livelli record. Evidenziando una tendenza chiamata "greedflation", supermercati, produttori alimentari e compagnie di spedizioni sono tra le centinaia di aziende che hanno visto aumentare i propri profitti, dando un ulteriore rialzo ai prezzi.

Un'analisi delle prime 350 società quotate alla Borsa di Londra da parte di un team di ricercatori di Unite, il più grande sindacato del settore privato del Regno Unito, ha mostrato che i margini di profitto medi sono aumentati dal 5,7% nella prima metà del 2019 al 10,7% nello stesso periodo del 2022.

Nel Regno Unito, Tesco, Sainsbury's e Asda hanno realizzato utili per 3,2 miliardi di sterline nel 2021, quasi il doppio dei livelli pre-pandemia. Anche i produttori alimentari globali come Nestlé hanno aumentato i margini di profitto negli ultimi 18 mesi.

Unite ha inoltre affermato di aver esaminato anche i conti di società internazionali che vendono servizi e materiali che direttamente influiscono sull'inflazione in Regno Unito. “Le quattro più grandi società agroalimentari che dominano alcune colture fondamentali come quella cerealicola – ADM, Bunge, Cargill e Louis Dreyfus – hanno visto i profitti aumentare del 255%, realizzando un totale di 10,4 miliardi di dollari nel 2021. I 10 principali produttori di semiconduttori al mondo hanno realizzato utili per 44 miliardi di sterline – il 96% in più rispetto al 2019”.

Le due catene britanniche Tesco e Sainsbury’s, che insieme detengono una quota del 43% del mercato alimentare, sono sulla buona strada per realizzare grandi profitti anche quest'anno. Tesco ha affermato che prevede di realizzare utili fino a 2,5 miliardi di sterline e Sainsbury ha indicato che raggiungerà quasi 700 milioni di sterline.

Il rapporto è un aggiornamento sui dati pubblicati la scorsa estate da Unite che hanno rivelato la crescita dei profitti aziendali, l’aumento dell’inflazione e il rallentamento della crescita economica.

Le catene di supermercati incluse nel rapporto hanno tuttavia negato di essere responsabili dell'aumento dei prezzi.

Paul Donovan, capo economista di UBS Wealth Management, è uno dei pochi economisti della City a richiamare l'attenzione sull'aumento dei profitti aziendali come causa dell'aumento dei prezzi. “Credo che gran parte dell'attuale inflazione sia guidata dall'espansione degli utili. In genere ci si aspetterebbe che circa il 15% dell'inflazione provenga dall'espansione dei margini di profitto, ma il numero oggi è probabilmente intorno al 50%. Uno dei segnali più eloquenti è il calo del costo del lavoro: l'automazione ha aumentato la produttività, la crescita dei salari è stata molto debole in termini reali e, come per i prezzi delle materie prime, l’inflazione è fortemente legata ai margini di profitto delle aziende".

 

Fonte: https://bit.ly/3JGW3x7  

 

 

(Contenuto editoriale a cura di The Italian Chamber of Commerce and Industry for the United Kingdom)

 

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Martedì 14 Marzo 2023

Regno Unito - Rishi Sunak afferma che la fiducia sta tornando

Dopo che le statistiche ufficiali hanno mostrato che l'economia è cresciuta più del previsto a gennaio, il primo ministro Rishi Sunak ha detto che i dati confermano che il piano del Governo funziona: l'economia è infatti cresciuta dello 0,3% a gennaio, riprendendosi dal brusco calo di dicembre.

La crescita di gennaio ha fatto seguito ad una contrazione dello 0,5% dell'economia nel mese di dicembre. Il primo ministro ha aggiunto che i dati mostrano che lo stato dell'economia è "migliore di quanto la gente avesse temuto".

Rachel Reeves, cancelliere del partito laburista, ha dichiarato: "I risultati di oggi mostrano che la nostra economia sta ancora avanzando lentamente seguendo il “declino controllato” iniziato dal partito conservatore".

Il ritorno degli studenti a scuola ha contribuito a rilanciare l'economia, generando un aumento nella produzione del settore dell'istruzione. L'ONS ha affermato che questo settore è cresciuto del 2,5% a gennaio, dopo un calo del 2,6% del mese precedente. Cresce anche l'attività nelle arti, nello spettacolo e nel tempo libero, principalmente grazie al ritorno della Premier League. Questi numeri sono migliori del previsto, ma l'economia non è ancora cresciuta in tre mesi - ed è quello che ci si aspetta di nuovo tra gennaio e marzo.

Finora i consumatori si sono dimostrati più resilienti all'aumento dei prezzi dell'energia e dei tassi di interesse. Le previsioni di bilancio della prossima settimana avranno un punto di partenza migliore rispetto all'ultima volta, grazie alla riduzione dei prezzi dell'energia.

Sebbene ora sia possibile evitare del tutto una recessione formale, per ora l’andamento generale dell'economia è stabile, a seguito degli aumenti delle tasse e dei tassi d’interesse più elevati.

Tuttavia, i dati di gennaio hanno mostrato un calo della produzione sia nel settore manifatturiero che in quello delle costruzioni.

"Guardando più approfonditamente, le cifre suggeriscono che l'economia si trova su un terreno più debole di quanto sembri", ha affermato Ruth Gregory, vicecapo economista britannico presso Capital Economics.

Gli scioperi a febbraio potrebbero aver colpito la crescita economica, con l'impatto dei successivi aumenti dei tassi di interesse che deve ancora essere avvertito da parte dell'economia.

Tuttavia, altri economisti hanno dimostrato maggiore ottimismo, tra cui Goldman Sachs, che ha previsto che il Regno Unito eviterà una recessione.

Il paese continua a fare i conti con un alto tasso di aumento dei prezzi, o inflazione, con conseguente compressione del costo della vita. Sebbene sia leggermente diminuita negli ultimi mesi poiché i prezzi all'ingrosso del gas sono diminuiti, l'inflazione rimane al livello più alto da quasi quattro decenni.

La Banca d'Inghilterra ha alzato i tassi di interesse al 4% - il più alto dal 2008 - nel tentativo di sedare l'inflazione. Sebbene ciò avvantaggi alcuni risparmiatori, ha anche aumentato le pressioni su molti titolari di mutui.

 

Fonte: https://bbc.in/402FtgB

 

(Contenuto editoriale a cura di The Italian Chamber of Commerce and Industry for the United Kingdom)

 

Ultima modifica: Martedì 14 Marzo 2023
Martedì 14 Marzo 2023

L'economia del Regno Unito ha registrato una modesta ripresa a gennaio

L'economia del Regno Unito si è ripresa a gennaio dopo un crollo prenatalizio, con una crescita dello 0,3% e un aumento nel settore dei servizi.

Nell'ultima indagine sullo stato dell’economia britannica prima del bilancio della prossima settimana, l'Office for National Statistics (ONS) ha dichiarato un ampio rilancio delle attività nei settori dell'istruzione, della salute e ricreativo. Anche l'aumento dei medici di base e di altri servizi sanitari privati ha avuto un ruolo importante, in quanto numerose persone con problemi di salute hanno potuto richiedere assistenza privatamente, evitando così le lunghe liste d'attesa del SSN.

Gli analisti avevano previsto una crescita mensile dello 0,1%, dopo una combinazione di scioperi e inflazione che avevano pesato sull'economia britannica. A dicembre si era poi registrato un crollo del PIL dello 0,5%. Gli ultimi dati dovrebbero essere d’incoraggiamento per il cancelliere Jeremy Hunt, in vista della pubblicazione del bilancio, quando illustrerà le politiche fiscali e di spesa del governo.

Gli analisti hanno tuttavia affermato che l'economia UK è ancora in ritardo rispetto ai paesi “rivali” nel G7 e il rischio di una recessione nella prima metà dell'anno è elevato.

Come riportato dall’ONS, l'economia britannica è in ritardo dello 0,2% rispetto al picco pre-pandemia.

Yael Selfin, capo economista britannico di KPMG, ha dichiarato che avere prezzi energetici all'ingrosso più bassi darebbe una spinta all'economia, "ma questo potrebbe non essere sufficiente per evitare una recessione nella prima metà dell’anno, poiché la spesa dei consumatori rimane debole con le famiglie che continuano ad essere schiacciate da prezzi elevati e dai maggiori tassi di interesse”.

La maggior parte degli analisti prevede una recessione meno profonda rispetto all'inizio dell'anno, anche se la ripresa sarà altrettanto lenta.

Darren Morgan, direttore delle statistiche economiche dell'ONS, ha dichiarato: "I principali motori della crescita di gennaio sono stati il ritorno degli studenti nelle aule, dopo le assenze insolitamente elevate nel periodo precedente al Natale, i club di calcio della Premier League sono tornati a giocare regolarmente dopo la fine della Coppa del Mondo e gli operatori sanitari privati hanno avuto un mese molto positivo. Anche i servizi postali si sono parzialmente ripresi dagli effetti degli scioperi di dicembre. Questi dati sono stati tuttavia in qualche modo controbilanciati da un notevole calo nel settore edile con un rallentamento dei progetti infrastrutturali e dell'edilizia abitativa, registrando così un altro mese negativo, in parte a causa delle forti piogge".

L'economia del Regno Unito ha evitato per un soffio di scivolare in recessione alla fine dello scorso anno, ma la Bank of England ha previsto una recessione nella prima metà di quest'anno, in parte a causa del balzo del tasso base della banca centrale al 4%.

 

Fonte: https://bit.ly/3YJRKWb

 

(Contenuto editoriale a cura di The Italian Chamber of Commerce and Industry for the United Kingdom)

 

Ultima modifica: Martedì 14 Marzo 2023
Giovedì 9 Marzo 2023

Aggiornamento al 13 febbraio 2023 dei flussi in entrata degli investimenti esteri in Turchia

I dati i più aggiornati sui flussi di IDE in Turchia, pubblicati lo scorso 13 febbraio dall’Associazione non governativa degli Investitori Internazionali nel Paese (YASED), indicano che nel 2022 gli IDE totali sono stati pari a 13 miliardi di dollari tra “equity capital” (6,5 miliardi di dollari), ricavi provenienti dalle vendite delle proprietà immobiliari (6,3 miliardi) e 0,8 miliardi per strumenti di debito (ossia crediti e depositi commerciali, sottoscrizioni di titoli obbligazionari e prestiti). I disinvestimenti segnano invece il livello più basso degli IDE e si attestano a 0,6 miliardi di dollari.

Nello specifico, nel mese di dicembre 2022, lo stock di investimenti in entrata si è attestato a circa 1 miliardo di dollari. I saldi negativi degli IDE hanno rappresentato nel il 27% del deficit del conto corrente su 12 mesi. Nel complesso, il 2022 ha registrato un -2,4% rispetto al 2021 nonostante i buoni risultati degli IDE cd “greenfield”.

Nel 2022, il settore “servizi”, in particolare bancario e assicurativo, hanno fornito il più grande contributo agli IDE in entrata nel 2022 (28% del totale), seguito da quello delle “vendite all’ingrosso e commercio al dettaglio” (25%) mentre a distanza, al terzo posto, si è piazzato il settore manifatturiero e del “food & beverage e tobacco”.

Nel 2022, sono ancora una volta i Paesi dell’Unione Europea più il Regno Unito i più importanti investitori in Turchia, detenendo la quota di maggioranza pari al 70% degli IDE totali in entrata nel Paese, registrando una crescita del 12%. Il blocco UE più Regno Unito è seguito dagli altri Paesi dell’Europa (+7%) grazie anche alla eccezionale performance della Svizzera (+9%), da quelli dell’Asia orientale, delle Americhe e del Medio Oriente.

A livello di Paesi, nel rank riferito al 2022, l’Italia si piazza alla nona posizione con una quota del 4% dopo aver ricoperto le prime 4 posizioni nel corso dell’anno a seguito delle acquisizioni di quote e fusioni di primarie aziende turche. La Spagna che ha grandi investimenti anche nel settore bancario (Garanti Bank BBVA), consolida la prima posizione con un incremento del 19% e 1,6 miliardi di dollari, seguita da Olanda (13%), Svizzera (11%), e Germania (11%).

 

(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio e Industria Italiana in Turchia)

Ultima modifica: Giovedì 9 Marzo 2023
Giovedì 9 Marzo 2023

Le relazioni commerciali tra Italia e Turchia nel 2022

Secondo i dati diffusi dall’Agenzia ICE di Istanbul, nel 2022 - rispetto all’anno precedente - il commercio estero con la Turchia segna un aumento del 14,8% che colloca il l’Italia al 5° posto tra i maggior partner commerciali con 26,4 miliardi di interscambio totale ed una quota del 3,9% sul totale importato dalla Turchia. L’Italia in ambito UE si piazza al secondo posto preceduta dalla Germania (45,2 miliardi di merci e servizi venduti) e prima della Francia mentre nell’area del Mediterraneo è il primo partner commerciale della Turchia.

Nel 2022, le esportazioni italiane hanno raggiunto i 14,1 miliardi dollari con un incremento dell’export in valore del 21,8% rispetto al 2021 collocando il nostro Paese al 6° posto tra i principali fornitori della Turchia preceduta da Russia, Cina. Germania, e Svizzera, che ha scavalcato gli Stati Uniti al 5° posto.

Si mantiene invece stabile quale 5° cliente dopo Germania, Svizzera, Stati Uniti Iraq e Regno Unito con 12,3 miliardi di beni acquistati con un incremento dell’import in valore del 7,7% rispetto al 2021.

Dopo un primo semestre del 2022 che aveva visto distribuire equamente vendite e acquisti tra i due Paesi con un saldo pressoché equilibrato, il 2022 ha registrato un saldo negativo per la Turchia di 1,7 miliardi in forte aumento rispetto al 2021.

La dinamica dell’export italiano nel 2022 è stata trainata dalle vendite di combustibili e oli minerali (+109,4% rispetto al 2021) e da quelle della voce merceologica “metalli e pietre preziose” (+191,7%) e, in misura meno marcata, dalle nostre esportazioni di ferro e acciaio (+47,2%). È risultato in calo solo l’export di prodotti farmaceutici (-9,7%). In termini assoluti, le principali voci del nostro export nel periodo in osservazione restano quelle tradizionali dei “macchinari e apparecchiature meccaniche” che hanno superato per la prima volta la soglia dei 3 miliardi di dollari.

Nel confronto con i principali partner commerciali europei, nel 2022 si rileva ancora una crescita delle esportazioni dell’Italia (+21,8%) nettamente superiore agli incrementi registrati dalla Germania (+8,4%) e dal Regno Unito (solo un +1,3%), mentre la Francia ha fatto registrare un +16,7% rispetto al 2021. In ambito Ue, come detto, l’Italia è seconda solo alla Germania (45,7 miliardi di dollari) e si posiziona prima di Francia (20 miliardi di dollari) e Spagna (16,1 miliardi di dollari), guadagnando quote nei confronti dei nostri tre principali concorrenti.

La dinamica dell’export turco fa invece registrare nel 2022 un +209,5% negli acquisti italiani di combustibili e oli minerali – triplicati rispetto allo scorso anno con quasi mezzo miliardo di dollari - mentre la prima voce dell’import italiano resta quella degli “autoveicoli, trattori e parti di ricambio” con oltre 2 miliardi di euro.

Tra gli incrementi maggiori delle esportazioni della Turchia nel 2022 si segnala l’aumento fatto registrare verso la Federazione Russa (+62%) e la Romania (+34,3%) mentre la dinamica dell’import turco segna, tra i più cospicui aumenti, un +402% dalla Svizzera, +103% dalla Federazione Russa (frutto principalmente delle importazioni energetiche) e +83% dagli EAU.

 

(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio e Industria Italiana in Turchia)

Ultima modifica: Giovedì 9 Marzo 2023
Giovedì 9 Marzo 2023

Rep. Ceca - Il deficit ha raggiunto in febbraio 120 miliardi di corone

Il deficit della pubblica amministrazione ceca è salito in febbraio a 120 miliardi di corone, il dato più alto mai registrato negli ultimi anni.

L’andamento è stato fortemente influenzato dalla spesa corrente, che ha registrato una crescita di quasi 82 miliardi di corone. Lo Stato ha registrato uscite maggiori per i provvedimenti sociali e per le misure contro il caro energia. Aumentano tuttavia anche i trasferimenti per gli investimenti.

Sul lato delle entrate, lo Stato non ha ancora ricevuto cifre significative da provvedimenti straordinari come la windfall tax. Complessivamente, le entrate sono aumentate di quasi il 10% grazie a maggiori gettiti dei contributi, dell’IVA e dell’imposta sul reddito.

 

Fonte: https://bit.ly/3SXyBPk

 

(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio e dell'Industria Italo-Ceca)

Ultima modifica: Giovedì 9 Marzo 2023
Giovedì 9 Marzo 2023

L’economia ceca al 12° posto nell’UE

L’economia ceca si situa al dodicesimo posto tra i Paesi dell’UE. Lo indica il progetto di analisi dei dati Index prosperity.

La valutazione del 2022 registra un lieve peggioramento per la Repubblica Ceca a causa di alcuni fattori. Il principale è il tasso d’inflazione che ha sfiorato il 15% ed è stato uno dei più alti tra i Paesi comunitari. Il forte aumento dei prezzi ha poi portato a un calo del potere d’acquisto e dei consumi delle famiglie.

L’economia ceca invece eccelle nella complessità, ovvero nella capacità di produrre un’ampia scelta di beni e servizi. Migliorano anche alcuni altri indici. Ad esempio, il numero di robot ogni 10.000 dipendenti è aumentato a 168, il decimo dato più alto dell’UE. L’economia ceca, tuttavia, deve ancora trovare la strada per migliorare in maniera decisiva il proprio valore aggiunto.

 

Fonte: https://bit.ly/3ypPQ2p

 

(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio e dell'Industria Italo-Ceca)

 

 

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Giovedì 9 Marzo 2023

Rep. Ceca - Gli investimenti e il commercio estero hanno trainato la crescita del 2022

Gli investimenti e il commercio estero hanno trainato la crescita dell’economia ceca nel 2022. Lo indica una nuova stima dell’Ufficio di Statistica Ceco.

Il contributo più significativo alla crescita del PIL nel 2022 è arrivato dalla creazione del capitale fisso. Gli investimenti hanno visto una crescita rispetto a un anno fa di oltre il 6%. Un contributo positivo è arrivato anche dal commercio estero e dalla spesa del settore governativo. Hanno invece penalizzato la crescita le spese delle famiglie, che hanno visto un calo di circa l’1%.

L’ufficio di statistica ha rivisto al ribasso la sua prima stima di crescita. Secondo il nuovo dato, il PIL è aumentato nel 2022 del 2,4%. Nell’ultimo trimestre la variazione anno su anno è stata dello 0,2%, mentre rispetto al terzo trimestre si è verificato un calo dello 0,4%.

 

Fonte: https://bit.ly/3IXL5BT

 

(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio e dell'Industria Italo-Ceca)

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Giovedì 2 Marzo 2023

L’ottimo anno dell’industria danese

Nel 2022, l’industria danese ha goduto di ottima salute: stando ai dati pubblicati da Danmarks Statistik, infatti, il fatturato dell’intero comparto industriale, compresi gli input di materie prime, ha raggiunto i 1093 miliardi di corone danesi (pari a circa 146 miliardi di euro), in crescita del 18% rispetto al 2021. Va notato che le statistiche sono compilate a prezzi correnti; quindi, i risultati devono essere visti in parte alla luce del recente andamento dei prezzi.

Se si considera solo l’industria (escludendo quindi il settore estrattivo, che ha goduto di un’annata di anomala floridità dovuta all’invasione russa in Ucraina), la crescita è stata del 56,9% rispetto all’anno precedente. Tale crescita si deve principalmente ai due settori farmaceutico (+30% rispetto al 2021, +356% rispetto al 2008) e alimentari-bevande-tabacchi (+18.6% rispetto al 2021, +31% rispetto al 2008), che sono i due maggiori gruppi per fatturato e per occupazione dell’industria danese. I due gruppi rappresentano complessivamente il 38,8% del fatturato totale e il 27,0% dell'occupazione industriale.

Un dato interessante legato all’andamento del settore farmaceutico è che, dal 2008 al 2022, le vendite di prodotti medici e farmaceutici sono passate da 42 a 160 miliardi di corone danesi (+380%). Questa crescita notevole è in buona parte dovuta all'aumento delle esportazioni verso gli Stati Uniti e la Cina in particolare, passate da valere 7 miliardi di corone danesi nel 2008 a 62 miliardi di corone danesi nel 2022. Tale crescita però non si può sovrapporre a quella dell’industria farmaceutica in sé, dato che le vendite di prodotti medici e farmaceutici possono avvenire in diversi settori e, allo stesso modo, le aziende appartenenti all'industria farmaceutica possono avere vendite di prodotti che non rientrano in questo gruppo.

Il gruppo dell'industria farmaceutica rappresenta una quota relativamente maggiore del fatturato dell'industria rispetto all'occupazione nel 2022, con una quota di fatturato del 18,4% ma solo l'8,7% dell'occupazione: questo è chiaro indice dell’alto valore aggiunto di tale industria.
Allo stesso modo, l’industria chimica e della raffinazione è quarta per quota di fatturato nel 2022, ma tra le ultime come quota di occupati. All'estremo opposto si trova l'industria metallurgica, che rappresenta il 6,7% del fatturato dell'industria e il 12,2% dell'occupazione. Il settore alimentare, primo per quota di fatturato, è anche primo come numero di occupati, con il settore dell’industria meccanica che occupa una frazione leggermente inferiore di dipendenti.

Altri settori che hanno riscontrato una crescita significativa, a partire dal 2008, sono quello chimico e della raffinazione del petrolio cresciuto del 61,1%, quello dell’ingegneria meccanica (che include le turbine eoliche) con il 49,2%, e quello dell'elettronica, che include i dispositivi medici, con il 40,7%.


(Contenuto editoriale a cura della Camera di Commercio italiana in Danimarca)
 

Ultima modifica: Giovedì 16 Marzo 2023